Il cacio col pepe di vattelapesca

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Adoro il cacio e pepe, e quand’è fatto bene lo trovo un piatto fantastico, un monumento dell’arte culinaria romana, un capolavoro di cultura materiale. Però da qualche tempo ecco che in certi locali romani si è cominciato a volerlo nobilitare a tutti i costi. E dunque ad esempio trovi scritto sempre più spesso: tonnarelli cacio e pepe nero di Sarawak. Ma dai…
Guardate, a me che il pepe sia di Sarawak o di Abbiategrasso non me ne importa niente. Mi interessa solo che il mio cacio e pepe sappia di buona pasta, di buon cacio e di buon pepe e che sia fatto a modo giusto, e dunque né liquido, né colloso. Questo voglio. Se ritenete che per far questo al meglio serva il pepe nero di Sarawak, usatelo. Ma non venitemi a stressare nell’illusione che io ritenga buono il vostro cacio e pepe solo perché avete usato un ingrediente dal nome che ricorda le tigri della Malesia di salgariana memoria. Sandokan non c’entra con la cucina.
C’entra il vostro saper fare tra i fornelli. Lo do per scontato, poi, che adoperiate materie prime buone, ché se non usate una buona pasta, un buon cacio e un buon pepe non potrà venirne fuori niente che valga la pena, e non mi vedete più.