Fabio Zenato a capo del Lugana, e il futuro della doc

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L’elezione di Fabio Zenato a presidente del Consorzio di tutela del Lugana è avvenuta sotto Vinitaly. Nel frullatore mediatico prodotto dalle fiera veronese, è passata parzialmente sotto silenzio. Ho voluto aspettare qualche po’ anch’io per parlarne. Quel che voglio dire è che mi pare la persona giusta al posto giusto nel momento giusto. Infatti, da un lato Fabio è a capo di un’azienda privata (Le Morette) che si è decisamente fatta largo nel panorama qualitativo della denominazione, e conosce dunque perfettamente le dinamiche delle aziende che costituiscono il tessuto commerciale del Lugana, e dall’altro è espressione di una storica famiglia di vivaisti di barbatelle, e conosce dunque altrettanto bene le aspettative di chi coltiva uve per conferirle ad altri. Disporre di una simile, duplice competenza è un plusvalore significativo per una doc che negli ultimi anni ha espresso uno sviluppo fenomenale, e che va dunque assolutamente gestita con equilibrio dal suo Consorzio di tutela.

Il Lugana ha chiuso il 2021 a 27 milioni di bottiglie, con una crescita intorno al 12%, segnando il primo posto tra le denominazioni italiane cresciute maggiormente nella grande distribuzione (+46% a volume, secondo le analisi IRI). Ricordo che una quindicina di anni fa, quando mi si chiese di tracciare un profilo di una possibile prospettiva futura del territorio e della denominazione, si vendevano appena una manciata di milioni di pezzi. Semmai, pro futuro le potenziali criticità del Lugana sono da intravedere proprio nei suoi punti di forza, ossia la consistente presenza in gdo e la sostanziale bipolarizzazione sul mercato italiano e tedesco. La consapevolezza della necessità di una dimensione più internazionale della denominazione mi pare abbastanza chiara nella filiera, e l’ingresso recente di nuovi player esterni molto orientati all’export aiuta. Questa tipologia di nuovi operatori più portati alla dimensione internazionale del mercato è in buona misura di provenienza veronese (cito due nomi a titolo di esempio, Allegrini e Tommasi, tra le “firme” di rilievo dell’Amarone). Di fatto, la stragrande maggioranza della produzione di uve del Lugana è bresciana, ma la parte commerciale della filiera parla in ampia parte veneto. Il fatto che Fabio Zenato sia veronese, ma abbia sempre lavorato a strettissimo contatto con i maggiori operatori bresciani, è un ulteriore plusvalore, e permette un dialogo trasversale all’interno della filiera. L’esperienza maturata in anni di presenza nel consiglio consortile e la pacatezza della persona fanno il resto. Non mi resta che augurargli buon lavoro.