Col vino siate curiosi come i bambini

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“Il bambino che non abbia potuto scorrazzare a piacimento, una volta cresciuto conserva tendenze infantili. è questa la vera disgrazia”. L’ha detto Wislawa Szymborska, la poetessa polacca, scrivendo una recensione, una delle tante compilate per una rivista (la raccolta è in un librino Adelphi, “Come vivere in modo più confortevole”). Quale fosse il libro che recensiva non è importante. Quel che importa è questa sua considerazione.
Ecco, queste parole mi fanno sovvenire i neofiti del vino, che talvolta – e li comprendo – vi si avvicinano con l’approccio devoto al culto delle “grandi” bottiglie, sovente costruite – il termine è usato di proposito, costruite – secondo i canoni “internazionali” della concentrazione e della morbidezza. Oppure mettono insieme il loro primo bagaglio sensoriale nei corsi di degustazione, qualche volta parimenti orientati ai medesimi attributi della struttura e della levigatezza, inculcati magari anche attraverso la reiterata compilazione di schede che inducono ad assegnare i punteggi più alti ai vini che abbiano colore denso e corpo robusto e alcol in rilievo. S’istruiscono pertanto, questi nuovi arrivati, alla scuola d’un gusto che trovo sostanzialmente elementare, e dunque capisco come molti di loro, non avendo potuto scorrazzare a piacimento fra le diverse pieghe dell’universo enoico, una volta cresciuti conservino tendenze, per l’appunto, infantili, seguitando a credere che la potenza del corpo, la profondità del colore, l’intensità dell’alcol, le vanigliature del rovere rappresentino la quintessenza della piacevolezza e le uniche modalità per giudicare il valore di un vino. Pertanto l’esortazione, per coloro che volessero avvicinare il vino e per chi il vino lo volesse loro insegnare, è di provare (e far provare) tutto, con la curiosità inesauribile d’un bambino, mettendo così da parte un bagaglio d’esperienze che risulterà di grande aiuto nell’età del bevitore adulto.