“Il candidato elenchi le unità geografiche aggiuntive della Doc Alto Adige, suddivise per comune”. Io me lo vedo l’esaminando del corso sommelier che sbianca in volto, di fronte a questa domanda. Ottantasei, le uga dell’Alto Adige, nuove di zecca, sono ottantasei. L’ho letto nell’anticipazione che ne ha dato WineNews.
Le complicazioni non sono finite lì, perché per ogni singola uga sono stati individuati i vitigni idonei a far sì che il vino che se ne trae possa fregiarsi della menzione aggiuntiva, e i vitigni vanno, di volta in volta, da uno a cinque, stando a quel che leggo. Dunque, il quesito cui viene assoggettato il diplomando può farsi davvero sconfortante: “Il candidato elenchi le unità geografiche aggiuntive della Doc Alto Adige, suddivise per comune, specificando, per ciascuna menzione aggiuntiva, i vitigni ammessi”. Ci vuole la memoria di un elaboratore elettronico per rispondere.
Conoscendo come lavorano e quanto sono meticolosi gli altoatesini, non discuto che la selezione effettuata sia validissima e sostenuta da prove inconfutabili. Però mi chiedo se una simile complicazione possa davvero funzionare. Di solito, il pubblico scappa di fronte alle complicazioni. Mi auguro che per il Südtirol non accada. Ma il vero dubbio è un altro, ossia a che cosa servano le uga al di fuori delle sottozone.
Per me, le uga hanno un senso compiuto se si riferiscono a delle sottozone. Le sottozone sono i cru, le uga i loro climat, se vogliamo rifarci al modello francese. Dunque, a mio vedere la piramide qualitativa dovrebbe essere costituita, nell’ordine, dalla denominazione di origine, dalle sottozone all’interno della denominazione e poi dalle uga all’interno delle sottozone; volendo, all’interno delle uga si potrebbero poi prevedere le indicazioni della vigna, così come ammette il testo unico. In questo modo, l’acquirente può muoversi per passi successivi, decidendo a quale livello di complessità fermarsi.
Il disciplinare della doc Alto Adige le sottozone le ha già. Sono sei, e sono abbastanza complesse per conto loro, avendo non solo il doppio nome italiano-tedesco, ma alcune anche diversi sinonimi. Eccole: Colli di Bolzano o Bozner Leiten; Meranese di Collina o Meranese o Meraner Hügel o Meraner; Santa Maddalena o St. Magdalener; Terlano o Terlaner; Valle Isarco o Eisacktal o Eisacktaler; Valle Venosta o Vinschgau. Forse valeva la pena riordinare le sottozone, magari modificandone i confini e aggiungendone altre, se del caso, e inserire poi le unità aggiuntive all’interno di ciascuna sottozona, secondo lo schema che ho riportato di sopra. Tanto più che – leggo ancora – chi vorrà applicare le uga dovrà assoggettarsi a una riduzione delle rese del venticinque per cento rispetto ai massimi stabiliti dal disciplinare, norma che mi sembrerebbe più fondata per delle sottozone, che non per delle menzioni aggiuntive.
Vabbé, questi sono solo pensieri miei. I produttori altoatesini, sin qui, hanno dimostrato di saperci fare molto di più di tanti loro colleghi sparsi per il territorio nazionale, e dunque confido che abbiano ragione anche stavolta. Dopotutto, per me non c’è problema: non ho alcuna velleità di iscrivermi a un corso per sommelier e nemmeno di concorrere al ruolo di master of wine, e dunque non avrò alcune necessità di impararli, quegli ottantasei nomi. Presumo che finirà per fare così anche il consumatore, che tutt’al più ne memorizzerà alcuni di suo gradimento, relegando i restanti all’oblio.
Ah, se le volete conoscere, queste ottantasei unità geografiche aggiuntive, andate su Wine News cliccando qui.