Per confrontarsi occorre una forte identità

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Quando viaggio in treno – e viaggio spesso in treno – mi capita di leggere parecchi giornali, e di segnarmi qualche frase, strappando l’articolo e mettendolo nel mio zainetto, per riprenderlo più avanti. Rovistando tra i fogli strappati, ho ritrovato un intervento di Dacia Maraini sul Corriere della Sera del primo dicembre. È passato insomma del tempo, ma non importa.
La Maraini a un certo punto dice così: “Solo rafforzando le nostre identità possiamo confrontarci con altre culture, altre tradizioni, altre religioni”.
Ovvio che non parla di vino o di cucine. Parla di immigrazione. Dice del senso di disagio che molti oggi provano, anche sull’onda emotiva della ferocia terroristica.
Però la frase ha una valenza importante anche per chi abbia a che fare col vino. Ha un significato profondo per chi voglia capire dove andare sulla strada del produrre vino, e di produrlo su uno specifico territorio. Perché è questo che si ha da fare: rafforzare, anche in vigna e in cantina e in bottiglia, la propria identità. Solo se si possiede un’identità forte ci si può confrontare a viso aperto, senza patemi, con gli altri. Questo occorre, anche nel vino, l’identità. Che non si costruisce con i trattati di enologia.
Rafforzare la propria identità culturale è – prendendo il titolo dell’articolo della Maraini – “il senso del Natale di cui andare fieri”. Parimenti, dare spessore all’identità territoriale del lavoro del vignaiolo è “il senso del vino di cui andare fieri”.