Oh, se mi piace il Centesimino di Oriolo

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Quando ci sono stato, la torre di Oriolo sbucava da una nebbiolina che non disturbava la guida, ma non rendeva perfettamente apprezzabile il paesaggio, che ho potuto intuire transitando in auto su quelle collinette ondulate, così diverse dal borgo artigiano e dalla piana frutticola che avevo appena lasciato alle spalle. La torre quattrocentesca è resa agibile da un piccolo manipolo di encomiabili appassionati riuniti in associazione e credo possa ergersi a simbolo – per il suo essere icona dei luoghi e per la passione dei sostenitori – di quel che sta accadendo da qualche anno a questa parte nelle vigne che stanno lì attorno. Le vigne del Centesimino di Oriolo.

Oriolo dei Fichi è una decina di chilometri a sud-est di Faenza, in quella Romagna che non risponde all’immagine stereotipata delle spiagge e della piada da turisti. Quella del centesimino è invece una vecchia d’uva a bacca nera che pareva destinata all’estinzione. S’è salvata perché se ne conservavano ceppi nel vigneto del Podere Terbato di Pietro Pianori, detto Centesimino, e dal suo soprannome venne nominata anche la varietà, che altri chiamavano e tuttora chiamano col nome di savignôn rosso. Ha trovato poi diffusione – una manciata di ettari, ad ora – proprio in Oriolo per opera d’una manciata di convinti vignaioli. Convinti, intendo, che il centesimino abbia un carattere sì difficile da trattare, per via di quell’aromaticità che infonde nel vino – e avere rossi aromatici non è per niente cosa agevole né dal lato produttivo, né da quello commerciale -, e per via degli zuccheri sostenuti, e per via di un tannino rusticheggiante, ma che proprio per questo possieda anche una personalità unica e spiccata, che merita dunque d’essere valorizzata.

Ora, se non avete mai assaggiato un rosso fatto col centesimino, preparatevi – giusto a titolo di indirizzo di massima – a qualcosa che può somigliare in qualche modo a un Ruché del Monferrato o a una Lacrima di Morro d’Alba o perfino, per certi versi, a un Moscato di Scanzo. Che ci somiglia, intendo, in qualche misura, ma che ne è anche per molti versi dissimile. Perché, come scrive il Falco – al secolo Francesco Falcone – in un suo aureo librino sul Centesimino di Oriolo, quest’uva “propizia vini dal piglio ‘solista’, in virtù di una struttura tanto generosa quanto affusolata nella dinamica e nei profumi caratteristici che rimandano alla rosa, al pepe, alla lavanda, alla liquirizia, al geranio e all’agrume scuro (cui si affiancano le consuete note di frutti rossi maturi)”. Ecco, ho riportato le sue parole perché io non avrei saputo neanche lontanamente avvicinarmici nella descrizione.

Escono, i vini, sotto la menzione dell’igt Ravenna, al momento, ma mi auguro che a breve le cose cambino e si possano ricomprendere nella denominazione d’origine romagnola, dentro alla sottozona d’Oriolo. Aggiungo che a me piace. Credo lo si sia capito.

Ora, i vini che ho assaggiato a tavola, più un altro, di cui scrissi qualche po’ di tempo fa.

Ravenna Centesimino 2016 Spinetta. Fa quattordici gradi e mezzo ma con la sapida cucina romagnola ci sta proprio benone La rusticità del centesimino c’è tutta. Vene di erbe aromatiche. (86/100)

Ravenna Centesimino Savignôn Rosso 2018 Paolo Zoli. Emerge in prima battuta soprattutto la traccia floreale, cui fa seguito il fruttino e in particolare la caramellina inglese alla frutta. (82/100)

Ravenna Centesimino Rifugio 2015 La Sabbiona. Colore brillante. Il tannino e il sorso tendono alla levigatezza, senza tuttavia smarrire il carattere autentico dell’uva d’origine. (82/100)

Ravenna Centesimino La Sabbiona 2018. Il Centesimino in versione quotidiana. La morbidezza del vitigno qui tende a prevalere, ma si compensa nel tannino e nelle vene d’erbe. (85/100)

Ravenna Centesimino Savignôn Rosso Savignone 2017 Poderi Morini. Un rosso poliedrico nelle sue belle note aromatiche e fruttate e speziate e fruttate e floreali. Tuttora giovanissimo. (88/100)

Ravenna Centesimino 2015 Ancarani. Un’annata che mi piace molto d’un vino che adoro. Un rosso robusto, che però nemmeno te ne accorgi, e questa è proprio prerogativa dei bei vini. (91/100)