Il Nordest vale da solo il 42 per cento del vino italiano

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“Il vino del Nordest vale il 41,6% del settore vitivinicolo in Italia, con un fatturato complessivo di circa 5 miliardi di euro”. Lo sostiene un report di Adacta, una società specializzata nella consulenza direzionale, fiscale e legale. I dati li prendo per buoni e fanno impressione. Perché vogliono dire che il Prosecco e il Pinot Grigio – ossia le due tipologie di vino più diffuse in area nodestina -, più i complementi di alto valore aggiunto come i rossi da appassimento valpolicellesi, sono il vero traino della viticoltura italiana. Insisto, il vero traino di tutta la viticoltura italiana, non solo di quel territorio.

Pensateci, con quei numeri non può essere che così. Il che fa fare delle riflessioni. Ne propongo appena tre, ma protrebbero essere molte di più.

La prima è che il Prosecco, per non dire il Pinot Grigio, la critica italiana sta in genere continuando a snobbarli come fossero roba da poco, e invece roba da poco proprio non lo sono, e dunque andrebbero considerati con l’attenzione che oggi non hanno.

La seconda è che un’eventuale e per nulla auspicabile crisi di quelle realtà trascinerebbe con sé l’intero comparto vinicolo nazionale, perché Prosecco e Pinot Grigio fanno certamente da aprispista commerciale a tante altre produzioni italiane.

La terza è che nel mentre il Prosecco è fortemente caratterizzato con il Nordest – e lasciamo perdere l’obiezione che ormai si definisce qualunque bollicina italiana come “prosecco”: si imita, anche nel nome, quel che funziona, come lo Scotch, nome di una marca col quale vengono chiamati tutti i nastri adesivi trasparenti, o il Post-it, altra marca con la quale viene identificato qualunque foglietto adesivo per gli appunti -, il Pinot Grigio probabilmente altrettanto caratterizzato geograficamente ancora non lo è, nonostante la nascita della nuova doc delle Venezie. Dunque c’è un elemento di fragilità potenziale che rimanda al punto due e dal punto due al punto uno.