Le doc contano, ma quante sopravviveranno?

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La recente decisione della nuova generazione della famiglia Gaja riportare nella denominazione del Barbaresco il Costa Russi, il Sorì Tildin e il Sorì San Lorenzo, sin qui imbottigliati nella doc Langhe Nebbiolo, credo abbia fatto da apripista, o da annuncio, a dei cambiamenti epocali che attendono il vino italiano.
Cerco di spiegare che cosa intendo.
Primo, il tempo delle marche sta tramontando – o sta offuscandosi – nei confronti dei brand territoriali, rappresentati, nel vino, dalla denominazione di origine.
Secondo, le denominazioni di origine sono e saranno sempre più un valore per il vino italiano, ma mica tutte.
A crescere sempre più di rilevanza saranno le denominazioni più affermate e “visibili”, magari anche di nuova creazione, come il Pinot Grigio delle Venezie, che si appresta a diventare un gigante.
Le altre doc o docg scompariranno, e non so bene da cosa saranno sostituite. C’è chi dice che verranno assorbite dalle igt, ma non ha molto senso, perché l’igt (e dovremmo cominciare a dire invece igp, indicazione geografica protetta) è comunque una menzione geografica come la doc (e dovremmo cominciare a parlare invece di dop, denominazione di origine protetta). Dunque, non vedo come si possa sostituire una menzione geografica con un’altra menzione geografica. Altri dicono che nasceranno delle macro denominazione provinciali o regionali, ma ho dei dubbi, perché gli esempi che abbiamo visto affiorare sinora non è che mi pare funzionino granché. In Francia hanno salvato un po’ le cose creando una macro classificazione nazionale del “vino da tavola”, il Vin de France. In Italia non l’abbiamo fatto. Forse era il caso di farlo. Forse è il caso di cominciare a pensarci.