Il Franciacorta e la lunga sosta sui lieviti

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Quando sono stato a trovare Riccardo Ricci Curbastro per parlare con lui di sostenibilità viticola e di responsabilità sociale dei vignaioli, ovviamente ho assaggiato anche i suoi vini. I suoi Franciacorta, intendo, ché la sua azienda è tra quelle storiche in terra franciacortina. Mi voglio dunque soffermare su due Franciacorta che sono stati lungamente sui lieviti e mi hanno (favorevolmente) colpito. Un brut del 2006 e un dosaggio zero del 2008.
Il brut si chiama Museum Release, perché qui c’è un museo del vino. “L’idea del museo – spiega Riccardo – mi ha fatto nascere quella di produrre dei vini che escano tardi, dopo otto o nove anni di bottiglia. La lunga permanenza sui lieviti – aggiunge – la interpreto in chiave antiossidante. Quel che mi interessa è mantenere il vino molto verticale sotto il profilo organolettico e far capire così il valore del tempo e dell’annata”. Ecco, il 2006, sboccato a marzo del 2015, l’ho trovato ricco di florealità, e poi in bocca ci sono sapidità e freschezza insieme. È questa la verticalità di cui parla. Si beve bene, proprio.
Poi arriva il dosaggio zero. “Questo è un vino cui sono molto legato per vari motivi”, mi dice Riccardo mentre stappa una bottiglia del Franciacorta che porta il nome del padre, Gualberto. L’annata è il 2008, la sboccatura a giugno del 2015. “È dedicato a mio padre – prosegue – anche se l’ho fatto a dispetto di mio padre. Lui mi ha sempre appoggiato, ma questa è stata l’unica volta che mi ha detto di no. È nato dunque a sua insaputa. Ci ho lavorato abbastanza segretamente, sperimentando”. Bellissimo al naso, porta in dote crosta di pane e fieno e fiori essiccati e piccoli frutti. La bocca è salatissima, succosa di fruttino.
Franciacorta Brut Museum Release 2006 Ricci Curbastro
(89/100)
Franciacorta Dosaggio Zero Gualberto 2008 Ricci Curbastro
(93/100)

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