C’è chi grida e chi si allena alla pazienza (come il vino)

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Capisco perfettamente che chi si è avvicinato alla politica nell’ultima decina d’anni possa scambiare l’arroganza per determinazione e l’ignoranza per libertà mentale. Del resto, molti degli esempi che aveva di fronte portavano a questo.

Allo stesso modo, comprendo che tra coloro che hanno incominciato a occuparsi di vino nell’ultimo decennio, nel quale tra i vini bianchi dominavano gli afrori del sauvignon, vi sia chi bolla come “fermentativo” un vino bianco che conserva una perfetta integrità di frutto. Oppure, al contrario, che spacci per “identità” le macerazioni ossessive e come “tradizione” le ossidazioni, per non dire di certe eccessive presenze di volatile che vengono identificate come “naturalità”. Idem per la diluizione confusa con la “bevibilità” e per talune percezioni vegetali, dovute dall’immaturità fenolica delle uve, che vengono erroneamente scambiate per “leggerezza”.

Invece, è poco praticato lo studio, ma nella politica, nel vino e in qualunque altra materia, lo studio è necessario e lungo e impegnativo. Niente, spesso si preferisce gridare, ma le grida sono effimere, durano poco e non lasciano dietro di sé neppure l’eco di se stesse. Ne ho visti scomparire tanti, di quelli che gridavano per farsi largo. Noi che beviamo vino conosciamo la forza straordinaria dell’attesa paziente. La pazienza è uno degli insegnamenti che ci regalano i vini che si possono dire veramente grandi.