Bourgogne 1964, una insospettabile giovinezza

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Secondo il sito Idealwine, il millesimo 1964 in Borgogna è stato particolarmente favorevole alla maturità delle uve. I vini hanno una morbidezza eccezionale, associata ad una bella struttura, con eccellenti corredi aromatici. Ne deriva un ottimo effetto terroir, l’origine dei vini si ritrova in bottiglia. La valutazione in ventesimi è molto elevata, 17/20.
Ho avuto il grande privilegio di poter assaggiare una batteria di 7 vini provenienti dalla vendemmia 1964 e tutti della denominazione Gevrey-Chambertin. La degustazione era organizzata da Angelo Peretti.
Passo subito alle considerazioni finali, e poi parlerò di ogni singolo vino. Ebbene, con mia grande sorpresa, i vini hanno dimostrato una vitalità e una giovinezza di cui non pensavo fossero capaci. Si discute molto su riviste e guide di settore della capacità (o incapacità) del pinot nero di evolvere positivamente nel tempo. Credo che quasi tutti gli appassionati siano inciampati in qualche bottiglia di Borgogna rosso deludente. Vini evoluti (nel senso negativo del termine), ossidati, stanchi. In poche parole imbevibili. Ed acquistati a caro prezzo. Questi problemi riguardano in particolare le annate che vanno dall’inizio degli anni ’80 e fino all’inizio del primo decennio del nuovo millennio.
È troppo presto per capire se anche i vini più recenti andranno in corso a problemi con il passare del tempo. Ma non ne sarei sorpreso. Andare a trovare tutte le ragioni di quello che potremmo definire un fenomeno di ossidazione prematura (ancora più drammatica ed evidente per i vini banchi di Borgogna), ci porterebbe a una trattazione lunga e tecnica che forse interesserà cinque persone. E poi non sono un tecnico.
Posso provare a citare alcuni fattori, che messi insieme hanno provocato una certa caduta di stile dei vini di questa regione. Negli anni ’80 c’è stata una caduta verticale nella qualità del lavoro in vigna, con rese alte e poco scrupolo nell’uso di prodotti chimici. Anche la scelta di portainnesti e di barbatelle non è stata delle migliori, tanto che il patrimonio viticolo ha necessitato e necessita ancora di grandi investimenti per tornare ad una situazione più consona al prestigio della regione. Aggiungiamo poi tutta la rincorsa alla concentrazione tipica degli anni ’90, che tanti danni ha fatto anche in Italia. Tanto legno, lieviti industriali, meno acidità e tannini patinati. Tutte cose che sicuramente non aiutano a conferire longevità ad un vino.
Potrei aggiungere che, forse, negli anni ’60 si praticava in modo più o meno sistematico la vinificazione a grappoli interi, con concentrazioni zuccherine inferiori, ma maggiore lunghezza nei vini.
Mi fermo qui per non annoiare ulteriormente, ma la questione è molto complessa e interessa le procedure più moderne di vinificazione, che non vanno nella direzione della conservazione del corredo “naturale” dell’uva, a favore di sostituti industriali e chimici.
Molti dei 1964 assaggiati sembravano imbottigliati 4 o 5 anni fa, con dei colori incredibilmente giovanili. I tappi hanno quasi sempre tenuto, e questo nonostante fossero lontani anni luce da quelli utilizzati ai giorni nostri (ritengo che se si utilizzano una capsula in piombo o in ceralacca, e un tappo non troppo lungo, i vini possano dormire tranquilli per vari lustri). Ancora una volta una grande lezione dal passato.
Sono tutti Gevrey-Chambertin Villages, salvo un Premier Cru. Li classifico in ordine di punteggio personale.
M. Javouhey, Gevrey-Chambertin 1964 (97/100)
Un colore fantastico. Naso profumato e aromi che da subito sembrano i più freschi e giovani del lotto. Inizialmente pare quasi troppo fruttato, semplice. Si apre con lentezza, diventa sempre più complesso con ricordi di grappa ai mirtilli, viola (molto nitida), cuoio, tartufo nero. Non sembra fermarsi mai: arancio e per finire anche note marine. Al palato è seta pura, lunghissimo, accogliente, evoluto e giovane al tempo stesso. Vorrei sentire un Grand Cru di questa zona per capire come potrebbe essere oggi.
Pierre Bourré et Fils, Gevrey-Chambertin 1964 (92/100)
Un vino con un andamento molto strano. È quello che ha avuto la migliore e più eclatante evoluzione (positiva) nel bicchiere. Il colore è da subito più evoluto. Naso inizialmente difficile, brodo, vegetale. Poi avviene la metamorfosi: si ripulisce, appaiono spezie dolci, liquirizia, e dopo molto tempo note più fini di erbe aromatiche come il rosmarino. Ha un andamento molto diverso dal precedente, ma ripaga la pazienza di chi lo attende. Il palato è più caldo e morbido di quanto faceva presagire il naso. Rivela un aspetto quasi sudista, terminando quasi dolce su note di cioccolato.
Vachet-Rousseau Père et Fils, Gevrey-Chambertin 1964 (92/100)
La tinta rivela una certa evoluzione, ma il colore è molto denso. Sembra vinificato a grappoli interi per la pungente presenza floreale, anche se è tra quelli che subisce un po’ di ossidazione nel bicchiere. Su tutto domina un tartufo bianco molto evidente. Il palato è più fruttato, composta di fragole, e poi entrano in gioco le note più terrose e di tartufo avvertite al naso. Focoso e con grande materia, tiene bene alla distanza. Più rustico e meno raffinato di altri colleghi.
A. Bichot et C., Gevrey-Chambertin 1964 (91/100)
Qui l’ossidazione è ancora più evidente. Nota iniziale di brodo vegetale che via via si stempera nel bicchiere. Fine ed elegante, non cerca di stupire. Lieve e persistente, siamo in Borgogna! Se perde qualcosa in potenza col passare dei minuti, mantiene il carattere vibrante e luminoso. Intrigante, termina su cacao e spezie.
Chanson et Fils, Gevrey-Chambertin 1964 (90/100)
Naso e colore tra i più giovani. Da subito sembra il migliore, ma a differenza di altri pare sia, passatemi l’esagerazione, quasi monolitico. Si ferma nella sua fase iniziale e non progredisce molto nel calice. Il naso è delicatamente vegetale, poi si sentono inchiostro di china, cacao, ruggine e spezie dolci. Buona la potenza al palato, è tra i più ricchi. Tannini impalpabili, sembrano non esserci. Morbido con bella acidità e finale salino.
Cave Des Cordeliers, Gevrey-Chambertin 1964 (82/100)
Sulle prime sembrava poter entrare nel lotto dei migliori. Il colore è tra i più belli, sfacciatamente giovane. Al naso menta, goccia di pino, note evolute e terrose. Dopo poco però esce una nota vegetale poco nobile e soprattutto è al palato che patisce una decisa ossidazione che compromette la sua uscita finale. Manca di purezza, ha sicuramente materia ma non si esprime sui livelli degli altri.
Drouhin-Laroze, Gevrey-Chambertin 1er Cru 1964 (s.v.)
Il vino che si è conservato peggio. Forse il tappo non ci ha permesso di trovarlo intatto fino ad oggi. Sembra uno Jerez, ma senza la grandezza di quel vino. Peccato.