Beaujolais e il gamay, grande uva su un grande terroir

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Col mio panel di degustatori abbiamo affrontato il gamay nella sua declinazione più caratteristica. Il Beaujolais.

Ormai sono anni che sostengo la grandezza di quest’uva. Anzi di quest’uva su questo terroir, in particolare nell’espressione dei dieci cru, che occupano la parte collinare a nord ovest dell’area di produzione. Suoli in gran parte di origine granitica, alta densità dei vigneti e vignaioli idealisti, sono alcuni degli ingredienti del crescente successo della regione, che solo una decina di anni fa era in piena crisi di identità, e che oggi è in piena salute. O almeno lo sono i vignaioli di qualità, mentre le cantine sociali soffrono ancora degli eccessi produttivisti degli scorsi decenni. E del successo tramontante del vino novello. Vediamo come sono andati gli assaggi. I vini sono in ordine crescente di punteggio.

Marcel Lapierre, Cuvée MMIX. Si tratta di una selezione delle più vecchie vigne, declassata e del millesimo 2009. È un vino contrastato, bisognoso di respirare e di tempo. Nella prima fase sembra surclassare tutti i suoi colleghi, poi sembra richiudersi in sé stesso. Piace per la facilità di beva, è lunghissimo. Sono convinto che tra dieci anni sarà una bottiglia indimenticabile. Oggi fa fatica. (85/100)

Daniel Bouland, Morgon Corcelette Vieille Vignes 2005. Colore scuro e profondo. Sensazione minerale e di fiori. Sconta un momento di austerità che non gli rende giustizia. A conferma il finale lo riscatta anche se non riesce a distendersi completamente. Al palato è largo, ancora giovanissimo. Finale di ciliegia e ferro. Un Morgon veramente slow. (87/100)

Château des Jacques, Moulin à Vent La Roche 2000. Vinificato come un Borgogna, ha un naso evoluto, tra erbe fini e iodio, oltre a una nota di legno. Ricco e complesso, dà l’impressione di essere meno “libero” di altri vini. (89/100)

Jean-Marc Burgaud, Morgon Côte du Py 2003. Tante spezie al naso, macis, noce moscata, sembra maturato in botti grandi. Molto giovane, carnoso. Poi si fa floreale e si arricchisce di note marine di crostacei. L’annata nel Beaujolais è stata eccezionale, i vini sono ancora lontani dal loro apogeo. (90/100)

Domaine de La Grand’Cour, Fleurie Climat Champagne Vieilles Vignes 2006. È il più disponibile e didattico tra i vini degustati. Profumato, accanto ai fiori propone note di radici e di cioccolato. Sembra un vino all’apice del suo potenziale espressivo, quasi compresso dalla sua evidente concentrazione, che forse toglie qualcosa alla parte più elegante. È uno di quelli che più si giova dell’attesa nel bicchiere, si fa più raffinato e caratteriale. Finale di cuoio e fiori, sembra avere ameno altri dieci anni davanti. (91/100)

Jean-Marc Burgaud, Morgon Grand Cras 2012. Fine e speziato, sa di carne e liquirizia. Il terroir dà dei vini più immediati e questo lo rende più pronto degli altri. Ha note marine di iodio, fiori passiti, fegato. Leggiadro, ha comunque dei tannini che impattano il finale e che richiedono attenzione nell’accostarlo al cibo. Al palato ha una nota fredda di fiori freschi che diventa quasi metallica e finisce su ricordi di radici e ginseng. (92/100)

Christian Ducroux, Regnié 2006. Tra tutti è quello con il naso più elegante. Nonostante sia prodotto da un vignaiolo “naturalista” radicale, ha conservato un frutto fresco di sorprendente giovinezza, che si accompagna a fiori e spezie. Il gamay nella sua più grande espressione, leggerezza e profondità. Nessun bisogno di concentrazione inutile, di legno nuovo e di effetti speciali. Tutto quello che serve senza voler dimostrare nulla. Emblematico. (95/100)