Assaggiare senza rete, dov’è la novità?

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“In altre parole, ci ha chiesto di assaggiare senza rete. Ha incoraggiato la soggettività, in una platea nella quale l’oggettività è la regola”. La frase l’ho tradotta da un articolo di Cathy Huyghe che ho letto su Forbes: “Tasting Wine Without A Net: The Subjectivity Of Natural Wine” è il titolo. Il soggetto è una degustazione di vini “naturali” tenuta da Alice Feiring, guru della critica del settore “naturalista”, al recente wine2wine veronese.
Ecco, leggendolo, quest’articolo, mi sono stupito dello stupore. Da anni scrivo che non può esistere oggettività nell’assaggio del vino. Siamo esseri umani, e come tali abbiamo un approccio soggettivo alla vita. Inevitabilmente. Dunque, è soggettivo anche l’approccio al vino. Per me ora è ovvio, anche se sono dovuto passare attraverso quasi un decennio di attività con le guide del vino per arrivare a comprenderlo. Intendo, per arrivare a comprendere che sbagliavo a seguire la corrente del punteggio “oggettivo”, che man mano mi è sembrata sempre più inadeguata.
Il problema è che dagli anni Ottanta ad oggi si è tentato di oggettivizzare la critica del vino, ideando una scala di punteggio – il più delle volte centesimale – che premiava e tuttora premia il “peso” del vino, ossia la quantità di colore, di tannino, di polpa, mettendo sugli altari vini che poi si faceva e si fa fatica a bere. Ecco, io sono in disaccordo con questa metodologia.
Per me i criteri da utilizzare sono altri due.
Uno è il senso di appartenenza a un ambiente umano. Non a un ambiente naturale in sé, ma all’ambiente interpretato dalle persone. I francesi questa cosa la chiamano terroir, che è un concetto ben diverso da quello di territorio, anche se in Italia si è tentato, sbagliando, di far coincidere le due espressioni. Per me un buon vino è quello che sa trasmettermi questo senso di appartenenza.
L’altro criterio è la piacevolezza che si ha nel bere il vino. Piacevolezza soggettiva.
Tertium non datur.
Insisto, non c’è futuro, non c’è salvezza senza il ritorno a una visione umanistica della nostra esistenza. Anche per il vino.
A stupirmi è che si sia dovuti arrivare all’avanzata dei vini “naturali” per tornare a considerarla, la soggettività, e che ci volesse l’opinione di un’americana a far sì che gli americani se ne stupissero, positivamente.
Se il vino “naturale” riuscirà a contribuire a tornare alle nostre radici umanistiche lo benedirò per sempre.