Ais e gli altri, avanti (quasi) tutti insieme?

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Quando in primavera è nata la Consulta del Vino, che mette insieme gruppi e associazioni che a vario titolo si occupano in Italia del mondo dell’enologia (ci sono per esempio Slow Food, la Fivi, il Movimento per il Turismo del Vino e vari altri), mi ponevo qualche dubbio sulla sua effettiva utilità. Non vorrei illudermi, ma un qualche risultato mi pare invece che abbia già cominciato a darlo. Quanto meno ha fatto sedere allo stesso tavolo persone che provengono da esperienze diverse e che ora si parlano. Magari possono anche maturare i margini per un’intesa.
Per esempio, presentando a Milano la nuova edizione della guida Vitae, Antonello Maietta, che è il presidente dell’Associazione italiana Sommelier, si è rivolto ai colleghi dell’Onav, della Fisar e dell’Aspi dicendo: “Dobbiamo unire le energie e le forze per rappresentare il patrimonio del vino italiano”. Ed ha sottolineato come il loro dialogo sia incominciato proprio già dentro alla Consulta. Certo, non ha citato i fuoriusciti della Fis, ma loro nella Consulta non ci sono.
Insomma, avanti (quasi) tutti insieme nel nome della cultura del vino? Può darsi. Come si usa dire, se son rose fioriranno. Ma ci sarebbe davvero bisogno, dico io, che fiorissero, perché, prendendo ancora le parole di Maietta, “il vino italiano è difficile da raccontare, perché è come i nostri dialetti, è molto sfaccettato”. Ecco, per raccontare le mille sfaccettature del vino italiano occorrono voci che sappiano narrare i territori e le vigne e le persone. Stando divisi si fa fatica. Molta.
Ce n’è di vino da raccontare in giro per l’Italia, oh, se ce n’è! La situazione è molto cambiata da quand’è nata l’Ais, negli anni Sessanta. “Allora – ha detto Angelo Solci, che fu tra i fondatori dell’associazione e che poi ha creato quell’associazione di enoteche che va sotto il nome di Vinarius – bevevamo meno bottiglie buone rispetto a oggi, ma le bottiglie buone erano assolutamente più significative e assolutamente più buone del resto del vino”. Adesso le cose sono diverse, e per fortuna di vini buoni e significativi se ne trovano tanti. Però occorre trovare la modalità di parlarne. Forse anche cambiando lo stile. “Come comunicatori del vino dobbiamo imparare a essere più sobri” ha affermato Maietta. Sono assolutamente d’accordo.