“Prendo una ciabatta. Anzi… me ne dia due che mi sento più tranquilla! Ieri ho mangiato l’ultima fetta di quello che avevo congelato quando eravate chiusi, sono arrivata giusta giusta“.
“E come l’hai trovato? Si è sbriciolato un po’?”
“Affatto! Era perfetto, buonissimo come fresco. C’ho fatto delle bruschette splendide e delle belle panzanelle. Mi sa che quando Gaia finirà l’asilo, continuerò a venire per il pane perché mi sono innamorata. Non sento la mancanza del mio, toscano! Mi è capitato a volte di assaggiare pane di cartone, ma perché, se il pane si può fare buono, c’è chi lo fa cattivo?”
“Eh, è un pane diverso (apprezzo la gentilezza e l’assenza di giudizio del fornaio) spesso lo fanno con la ricetta che hanno imparato ma non basta. Per fare il pane ci vuole l’amore, la passione, ci vogliono i segreti rubati a chi ha più esperienza, provare, fare, migliorare, avere pazienza…”
Spesso quando mi fermo a prendere le mie pagnotte, sento Luigino, il fornaio, cantare: “Non è un capello ma un crine di cavallo uscito dal paltoooò“. C’è un amico cliente che si unisce e mi aggrego pure io, ché le canzoni vecchie le conosco e mi rallegrano.
Ecco che torno a casa col sorriso, contenta di aver trovato questo forno piccino picciò, il Panificio Selva a Latisana, che ha un cuore ancora pulsante. Una preziosa rarità.