Bruno Paillard NPU Rosé 2003 e la cucina di Corelli

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Appena si arriva a Capri in questa stagione, le sensazioni e gli stimoli che si ricevono sono diversi e contrastanti. Sbarcati sul molo del porto turistico, si viene catapultati in un carnaio di gente di tutte le razze e tipologie che, in uno spazio molto ristretto, deve necessariamente convivere prima di raggiungere la meta prefissata. Così si ritrovano insieme affannosamente i turisti mordi e fuggi, arrivati per una giornata, e quelli facoltosi, giunti un po’ da tutto il mondo, attratti dalla bellezza raffinata dell’isola azzurra e dei suoi alberghi d’elite.

Sono qui per la cena a quattro mani con Igles Corelli e Eduardo Estatico al JK Place Capri, albergo incantevole, cinque stelle lusso, posto sulla spiaggia di Marina Grande, poco distante dal porto.

Eduardo è lo chef resident del JK Kitchen da sei anni, napoletano per nascita e per convinzione. Ama raccontare la cultura partenopea nei suoi piatti in maniera divertente e puntuale, anche se il menù spazia moltissimo nelle idee e nei prodotti, rivolgendosi ad un pubblico internazionale che è stato di forte stimolo per la crescita professionale. Differenze di età e di culture tra i due chef hanno divertito gli ospiti dei tavoli in terrazza. Igles è ben noto per le sue origini ferraresi e per l’invidiabile carriera condotta sino ad oggi, sempre sull’apice del successo. Insomma, in questa serata caprese, sin dallo sbarco, la biodiversità umana è stata un continuo stimolo che ha indotto lunghi spunti di riflessione sull’importanza del suo valore, proprio su questa piccola isola roccioso, dove la popolazione indigena poco si è mescolata geneticamente ad altre genti. Ci sarebbe da farne un film sul tema.

Inutile stare a descrivere l’intera cena che ha visto un Corelli in perfetta forma e particolarmente divertito dal duetto con il giovane Estatico e dalla bellezza mozzafiato del relais. Tra le tantissime cose da notare e godere, mi sono soffermata nella lettura della carta dei vini, dove una intera pagina è dedicata agli champagne di Bruno Paillard, maison che amo moltissimo. Le diverse etichette vengono proposte anche in millesimi che vanno indietro nel tempo – una meraviglia. Così arriva al tavolo lo Champagne Rosè Nec Plus Ultra 2003, un gioiellino che ha saputo mantenere alta e a lungo l’attenzione. Nulla era scontato tra profumi sussurrati e la trama sottile del sorso,  preciso e cadenzato, se non l’eleganza. Molto intrigante nei profumi a tratti maturi, poi fragranti, agrumati, mi ha fatto pensare alle albicocche del mio Vesuvio, poi alla buccia di mandarino, appena pepato, poi ancora alla salvia, piccoli lamponi di bosco, insomma, uno spettacolo che mi ha isolata da quanto mi accadeva intorno. L’estrema eleganza si conferma sorso dopo sorso, leggiadro e quasi etereo, pur mantenendo una certa vivacità spinta dalla freschezza cristallina e dalle note saline.

Il piatto in abbinamento a sua volta era tanta roba messa insieme: i calamaretti ripieni di fegato grasso e ricotta di pecora con verdurine croccanti, un cult di Igles. Come si dice a Napoli, dalle mie parti, si sono fermati gli orologi. È incredibile quanto sia attuale questo piatto che risale agli anni Ottanta, ai tempi del celebre Trigabolo che fa ancora tanto parlare di se, con malinconia e desiderio, unico motivo di notorietà per Argenta, altrimenti luogo totalmente in ombra e sconosciuto. Ogni elemento ha mantenuto la sua posizione tra le papille, e in particolare, la delicatezza dei calamaretti non ha ceduto mai il passo alla pienezza del fegato grasso o della ricotta di pecora. E non è andata come per il concerto dei Rolling Stones a Lucca, dove il mito delle rock star è stato tenuto in piedi dal nome sfavillante e dalla megagalattica organizzazione, mentre loro erano decisamente meno scintillanti dei titoli dei bei tempi ormai andati. Perfezione tecnica e genialità di pensiero hanno confermano l’unicità di questo grande chef che, tutto sommato, non avrebbe grande necessità di rinnovarsi, avendo già tanto investito.

Il suo nuovo piatto, l’insalata di sogliola, zabaione allo yuzu e morbido di avocado, sempre nel menù di questa cena evento, ci dice che continua inossidabile la sua ricerca, che sa rinnovarsi e cavalcare i tempi, senza colpi di scena, ma puntando dritto e forte al gusto. La capacità di ascoltare poi mi ha colpita non poco e  credo sia uno stimolo notevole per lui e uno strumento di seduzione per gli altri. Un po’ come capita quando si ascoltano i grandi oratori. Sappiamo che è uno che non la manda a dire, anche se ho avuta l’impressione che nella sua vita, come nella professione, abbiano più spazio la disponibilità e l’apertura, seppure con qualche curva pericolosa del tragitto, tracciata dall’uso libero e diretto delle parole.