La Grola, alla ricerca del vino del futuro

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“Questo vigneto fa parte della mia storia personale e della storia della mia famiglia”. Così ha esordito Franco Allegrini aprendo la verticale del rosso che ha nome La Grola, che è anche il nome della vigna, a Sant’Ambrogio di Valpolicella. Eravamo al Vinitaly e ho drizzato le orecchie. Perché penso che l’aspetto umano sia ciò su cui poggia l’idea di terroir. Quando un produttore comincia parlando di sé e della famiglia, siamo in quella direzione.

La Grola è una collina che ha un lato che dà verso la Valpolicella e l’altro verso il Garda. Dalla Valdadige arrivano i venti che mitigano, in estate, la calura. Sulla sommità c’è la parcella della Poja. Giovanni Allegrini mise mano a quella terra nel 1979, quarant’anni fa. Piantandola a guyot, che allora, là, era una rivoluzione. Intendeva tenere a bada il vigore della corvina veronese, con quel mezzo. Non fece in tempo a vedere l’opera compiuta. Morì nel 1983. “Forse – dice il figlio Franco – è stata la prima vera esperienza di valorizzazione di un cru della Valpolicella, sperimentando un percorso vinicolo. Noi lo riteniamo un vigneto sperimentale in evoluzione. Abbiamo sperimentato sempre, qualche volta sbagliando”.

Prima – quasi subito – s’è tolta la rondinella, e fu giocoforza anche abbandonare la doc, che ne obbligava invece l’utilizzo consistente, e son più che d’accordo con Franco Allegrini quando dice che invece dovrebbe essere il territorio a “chiamare” la varietà e non l’orpello burocratico, e questo soprattutto per la rondinella, che raramente dà buone cose nella Valpolicella e anche nel “mio” Bardolino. Poi s’è provato ad affiancare il syrah, per via della spezia, e l’oseleta, però l’ossatura è rimasta la corvina, e anzi s’è fatta costante selezione massale dalle vigne originarie. Oppure si è cercata l’estrazione, “perché era quello che mancava in Valpolicella”, ma adesso non è più la strada “perché il cambiamento climatico ha cambiato anche la partita” e in ogni caso “siamo ancora alla ricerca del vino del futuro, dice Franco Allegrini.

Della Grola si sono assaggiate sette annate, e concordo con Nicola Frasson (leggi Gambero Rosso, conduceva la degustazione con Franco Allegrini) nella sottolineatura che è raro incontrare una verticale di un vino che non è il top di gamma di un’azienda, essendo, nel caso di Allegrini, il vertice occupato dall’Amarone e dalla Poja. Ma è da un vino come questo che si può provare a leggere il percorso enologico compiuto su un territorio. Verificando come le soluzioni via via adottate abbiano saputo affrontare il tempo, e se vincano la tecnica o il terroir.

La Grola 2016. Corvina e un dieci per cento di oseleta. Ciliegia marasca, netta, e sotto, ancora celata, la spezia, e tutto questo è la corvina. Il tannino, saldo, è da oseleta. Impeccabile. (92/100)

La Grola 2012. Stessa cuvée del 2016. Speziatissimo, e la speziatura è integrata nel frutto, ma trovo qualche vena verde e avverto minore equilibrio, nonostante l’età maggiore. (87/100)

La Grola 2008. A saldo della corvina c’è il venti per cento di syrah, ma l’impronta resta nell’intimo valpolicellese. Vino stratificato, sta passando dalla giovinezza alla maturità. (88/100)

La Grola 2005. Settanta corvina, quindici oseleta, dieci syrah, cinque sangiovese, eppure ricorda incredibilmente il 2016 (vince il terroir, certo). Col fascino aggiunto dell’età. (92/100)

La Grola 2004. Stesso blend quadripartito. Ha marasca succosa, quasi acidula, e tannino serrato. Racconta l’annata dalle temperature fresche. Con grinta tuttora giovanile. (88/100)

La Grola 2000. Sempre quattro uve. “L’agilità è l’anima della Valpolicella”dice Allegrini, e questo vino, sottile nonostante l’anno caldo, lo attesta. Ma la mia bottiglia non era perfetta. (s.v.)

La Grola 1997. Le quattro uve. Prima annata fuori dalla doc, ma l’essenza è ancora oggi del tutto valpolicellese. Tanto sale, pulizia, snellezza. Se il futuro ricominciasse da qui? (90/100)

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