Tutti pazzi per il bio, ma in cantina domina la tecnica

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Insomma, a Vinitaly si è fatto un gran parlare di vino bio, e sono state molte le cantine, anche di grandi dimensioni, che hanno presentato le loro nuove produzioni “verdi”. Del resto, nella gdo italiana il vino bio ha registrato lo scorso anno vendite pari a 11,5 milioni di euro, il 51% in più rispetto al 2015, a fronte di un tiepido +1% per il settore vino in generale. Inoltre, secondo l’analisi Wine Monitor Nomisma su dati Fibl predisposta in occasione del Vinitaly per il convegno organizzato da FederBio “Il successo del vino biologico in Europa e nel mondo”, tra il 2004 e il 2015 in Europa la viticoltura biologica è cresciuta del 295%, arrivando a 293 mila ettari, l’88% della superficie vitata bio del mondo e il il 7% del vigneto totale europeo.

Tutto bene? Tutto bene, quasi. O forse non del tutto.

Nel senso che ho appena assaggiato un vino bio di un brand vinicolo nazionale che sta convertendo parte del suo vigneto al biologico (e qui va benissimo) e ne sono rimasto perplesso (e qui va meno bene). Non che il vino non sia ben realizzato. Il problema è esattamente il contrario: è “troppo” ben fatto, e per ben fatto intendo che segue gli schemi enologici convenzionali che andavano e ancora in buona parte vanno forte sui mercati internazionali.

Stop. Capiamoci. Io non sono certo tra quelli che dicono che il vino più o meno “naturale” abbia da puzzare o da essere scorbutico. Assolutamente no. Però non capisco che senso abbia suonare la grancassa del rispetto dell’ambiente “naturale” quando poi in cantina il vino continui a farlo con la solita aggressività enologica. Nel caso specifico, tanto, troppo legno, che annichilisce un frutto che al primo ingresso al palato sembra bello e vivido, e invece se ne sparisce sotto la falegnameria.

Intendo che il vero salto di qualità lo avremo quando, oltre che in vigna, l’uva sarà pienamente rispettata anche in cantina, con questo mettendo in luce il carattere territoriale del vino. Ci vuole un cambio di passo culturale, e questo lo vedo ancora un po’ lontano. Sennò resta marketing, e basta.

 


2 comments

  1. Maurizio Gily

    Se c’è troppo legno non piacerebbe nemmeno a me, però questo ha poco a che fare con il concetto di biologico, almeno sul piano normativo. Il protocollo di vinificazione in biologico ammette quasi tutto quello che si usa anche in convenzionale, ma questo accade perchè quasi tutto quello che si usa in cantina è di origine naturale (vegetale, tra cui il rovere, minerale o animale) e non di sintesi, e quindi non ci sarebe motivo di vietarlo. Su quello concettuale invece può avere senso unire l’idea di una agricoltura biolgica a quella di un’enologia poco interventista. Si tratta però della scelta di unire due concetti, che non sono uniti per natura. Concordo sul fatto che sarebbe una scelta piuttosto logica, ma resta affidata alla sensibilità individuale e agli obiettivi di mercato.

  2. Angelo Peretti

    Angelo Peretti

    Non ho minimamente accennato al protocollo del biologico, Maurizio. Ho sottolineato l’aspetto concettuale. Insisto nel dire che non ha senso avere rispetto per la vigna e non averne invece per il vino che se ne trae. Se si fanno proclami “non interventisti” relativamente alla vigna e poi si seguono pratiche assai “interventiste” in cantina, be’, è solo (cattivo) marketing che prima o poi tornerà indietro come un boomerang.

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