Piaccia o no, si chiama vino dealcolizzato

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Da qualche tempo tiene banco la questione del vino cui viene tolto l’alcol, portandolo a zero o vicino allo zero. Per qualcuno si tratta di un abominio, perché in tal modo si tradirebbe l’essenza stessa del vino, e dunque non lo si dovrebbe nemmeno chiamare vino; invece, secondo qualcun altro rappresenta un’opportunità, soprattutto ora che il settore vitivinicolo sta incontrando inedite difficoltà, e dunque urge cercare nuovi segmenti di clientela (i salutisti, i giovani, gli intolleranti all’alcol) e nuovi mercati (le popolazioni che non bevono alcol per motivi religiosi). Come spesso accade, in Italia ci si è divisi in fazioni contrapposte, e ovviamente il confronto fra tifoserie ha portato ancora una volta all’immobilismo, perché i politici non prendono provvedimenti impopolari, cosicché qui da noi c’è un vuoto applicativo. La conseguenza è che chi vuol produrre i vini senz’alcol deve rivolgersi all’estero e poi importare i flaconi, con una perdita di valore e di competitività per l’industria vinicola nazionale.

Che la diatriba sia densa di confusione lo conferma il fatto che questo genere di prodotto lo vedo definire di volta in volta vino dealcolato, vino analcolico, vino alcol free e in altri modi ancora, mentre, che io sappia, si può e si deve chiamare esclusivamente in due modi: vino dealcolizzato oppure vino parzialmente dealcolizzato. Infatti, in assenza di altri provvedimenti normativi, ritengo faccia testo l’articolo 119 del Regolamento Ue numero 1308 del 2013, nella sua versione più aggiornata, ossia quella del dicembre 2023. Vi si dice che nell’etichettatura di questo genere di vini va usato il termine “dealcolizzato” se il titolo alcolometrico effettivo non è superiore a 0,5% vol. oppure la specificazione “parzialmente dealcolizzato” se il titolo alcolometrico effettivo dè superiore a 0,5% vol. ed è inferiore al titolo alcolometrico effettivo minimo della categoria che precede la dealcolizzazione.

Per chi ancora lancia proclami riguardo al fatto che i dealcolizzati non si debbano chiamare vini, come ho sentito dire da parte di qualcuno anche a Vinitaly, rammento che il Regolamento europeo prescrive che le due definizioni sopraddette si applichino a tutte le varie tipologie di “vino“. Dunque, si tratta di vino, e star lì a discutere se quelli senz’alcol siano vini o no è tempo perso. Si chiamano vini dealcolizzati o vini parzialmente dealcolizzati, piaccia o non piaccia. A me non piace, ma è così e ne prendo atto.

A dire il vero, a me non piace neppure la birra analcolica, ma esiste, fa volumi importanti e crescenti e non mi pare che l’industria birraria ne abbia sofferto. Anzi, sono proprio le grandi industrie della birra a produrla, e di recente si sono incominciati ad aggiungere anche i birrifici artigiani. Dunque, non vedo il rischio che la cattiva moneta dealcolizzata scacci quella buona: non lo ha fatto con la birra, non lo farà di certo con il vino. Tuttavia, non concordo con chi ritiene ottimisticamente che il vino dealcolizzato possa essere una modalità per avvicinare nuovi segmenti o nuovi mercati al vino “vero”, quello con l’alcol. Sono prodotti diversi, destinati a consumatori diversi e a occasioni di consumo diverse. Può esservi una qualche occasionale ibridazione, nel senso che chi beve vino a volte potrebbe bere anche vino dealcolizzato, e viceversa, ma credo si tratti di circostanze marginali. Io qualche birra analcolica l’ho bevuta giusto per provare, ma se decido di bere una birra, prendo una birra tradizionale, alcolica. Invece, chi ha problemi fisici, religiosi o salutistici, che gli impediscono l’uso dell’alcol, beve birra analcolica.

Non capisco nemmeno che si stigmatizzi il gusto del vino dealcolizzato definendolo come nettamente inferiore a quello del vino. Lo è, allo stato attuale, ma l’industria del vino dealcolizzato è solo ai primi passi: con il tempo la qualità migliorerà. È successo così anche per le birre, non vedo perché non possa accadere con il vino.

La sintesi? La mia è in tre punti, che espongo qui di seguito.

Primo: mattiamocela via, il vino dealcolizzato è vino, per norma europea.

Secondo: se qualcuno non può o non vuol bere alcol, non vedo perché non debba avere la possibilità di bere un vino dealcolizzato, così come beve una birra analcolica.

Terzo: il vino dealcolizzato non è il male assoluto così come non è il bene assoluto; è semplicemente un prodotto diverso dal vino, che si rivolge a un mercato diverso da quello del vino, ma che può portare ugualmente un buon reddito a chi lavora la terra e coltiva la vigna.

Se io lo berrò? Non credo, a meno di esservi costretto, e spero di non esserlo, perché vorrebbe dire che sto male o che ho perso la libertà di scegliere, casi entrambi che spero proprio di evitare.