L’inattesa gioia di un ottimo olio nell’Est Veronese

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A me l’estate piace, e mi piace soprattutto la pigrizia di agosto, quando ho tempo per dedicarmi alle zone più vicine a casa, quelle che, per quanto assurdo possa sembrare, frequento di meno, perché penso sempre che ci sarà modo, e invece il modo non viene quasi mai. L’occasione di fare un salto nel territorio Soavese me l’ha offerta qualche giorno fa la Strada del Vino Soave, che, per lanciare il proprio evento annuale Soave Seven, in programma a Verona lunedì 11 settembre, ha organizzato un pomeriggio per la stampa attraverso la zona di produzione. Ci sono andato per aver l’occasione di rivedere alcuni colleghi e perché mi incuriosiva la visita a un frantoio che non conoscevo: grazie al cielo, di questa Strada del Vino non fanno parte solo le cantine. Ho fatto bene ad andarci. Ho scoperto, inatteso, uno degli extravergini più buoni della provincia di Verona. Lo produce il Frantoio Fornaro a Montecchia di Crosara, zona che non è usualmente sotto i radar dell’eccellenza olearia italiana, ma che potrebbe diventarlo.

A dire il vero, non è che la famiglia Fornaro avesse tradizione olivicola. Si occupava – e ancora si occupa – di legatoria, ma il rallentamento dell’editoria li ha convinti a diversificare, e invece di puntare sul vino, come fanno un po’ tutti nelle colline veronesi, hanno pensato all’olio, sfida oltremodo difficile, e dunque ancora più ammirevole. Il fatto è che i Fornaro hanno in mente un modo di fare impresa che si radica in una forte matrice religiosa, in ragione dell’attaccamento alla scuola e alla tradizione salesiana (nel piazzale della legatoria c’è la statua di don Bosco), e dunque la scelta è stata dettata più da un obiettivo sociale – dare un nuovo frantoio moderno alla zona – che non strettamente economico. Così, sette anni fa, a Montecchia di Crosara – terra di vigne, di ciliegie e di qualche olivo – è arrivato un efficiente impianto di estrazione a due fasi.

Per chi non conoscesse le tecnologie dei frantoi, dico che l’impianto a due fasi ha il vantaggio di non richiedere l’utilizzo di acqua nell’attività di estrazione dell’olio dalle olive, il che si traduce da un lato in un impiego più limitato di risorse, e dall’altro in una maggiore ricchezza di polifenoli nell’olio, ancorché con una resa produttiva un pochino inferiore, ma si sa che la quantità non sempre va a braccetto con la qualità, e questo è vero soprattutto per l’olio che si fa con le olive. L’impatto dell’impianto è vicino allo zero, in quanto tutti i sottoprodotti sono riutilizzati. La sansa viene adoperata per alimentare i sistemi a biogas e produrre energia elettrica, mentre il nocciolino è triturato da una macchina ed essiccato per servire da biocombustibile. Bene, ma adesso è tempo di dire dell’olio. O meglio, degli oli, perché se ne fanno due, quello con l’etichetta bianca e quello con l’etichetta verde.

Peraltro, prima di raccontare come sono i due oli, devo dare un’avvertenza, ed è che agosto non è il periodo migliore per valutare un olio exravergine di oliva. L’extravergine lo produce l’olivo. Le olive sono delle specie di boccette naturali che contengono olio. Il compito del frantoiano è quello di estrarre l’olio arrecandogli meno danno che sia possibile. Dal momento in cui l’olio esce dalle olive, incomincia man mano, un passettino alla volta, a ridurre le proprie caratteristiche organolettiche e salustistiche. È un processo naturale, ma questo significa che il meglio del meglio un olio lo dà appena franto. Agosto è lontano dieci mesi dal periodo dell’ultima molitura dell’oliva, e dunque capite che la mia aspettativa era di trovare un olio già piuttosto evoluto. Sbagliato. Quel che mi ha impressionato, soprattutto nell’etichetta verde, è trovare invece una freschezza aromatica del tutto intatta. Tanto di cappello.

Olio extravergine di oliva Il Conte etichetta verde 2022 Frantoio Fornaro. L’olio viene dall’oliveto di proprietà dei Fornaro. La varietà di olivo prevalente è quella del grignano. Poi nell’oliveto ci sono le altre cultivar del territorio, ossia favarol, frantoio, leccino, pendolino, leccio, leccio del corno, compostaro. Quel che cerco in un olio a forte base di grignano è la nota agrumata di buccia di limone. Se c’è quella, vuol dire che il grignano era a maturazione perfetta, ossia alla prima invaiatura, al cambio di colore accennato. Ebbene, qui il limone c’è. Eccome se c’è. Buccia di limone verde, freschissima, rinfrescante, gioiosamente amaricante. Quest’extravergine si propone di primo acchito con un bella presenza di erbe di campo, il tarassaco crudo in primis, e anche il suo fiore. Vi si somma, da subito, una venatura di alloro, unito ai ricordi di oliva verde e – ecco! – alla foglia di limone. In bocca parte piuttosto amaro, cosa pregevolissima, perché testimonia della sanità e della giovinezza delle olive, e anche della ricchezza di polifenoli, che fanno bene alla salute nostra e dell’olio. Quindi, un inaspettato sbuffo di carciofo crudo, così difficile da rintracciare tanto a nord. Vira molto lentamente verso la nocciola appena raccolta. La persistenza è esemplare, l’evoluzione pigra e costante. Un quarto d’ora dopo l’assaggio, l’olio era ancora lì, nel palato, a cambiare. (90/100)

Olio extravergine di oliva etichetta bianca 2022 Frantoio Fornaro. Se le olive dell’etichetta verde erano state raccolte il 10 di ottobre, quelle dell’etichetta bianca vengono da fine mese, e si sente, anche se l’olio è integro e vitale. Intendo che il grignano a maturità avanzata tende a offrire una percezione di morbidezza, che usualmente piace al consumatore di olio settentrionale, perché è di facilissimo approccio e utilizzo, per esempio sul pesce. Ma non è sinonimo di ricchezza organolettica. Tuttavia, qui rimane un’apprezzabile traccia erbacea e anche quella agrumata, però più da succo che non da buccia di limone. Parte moderatamente amaro e si muta presto in mandorla, e anzi in confetto alla mandorla, con una nuance vanigliata. Vi si somma la mela granny smith e una memoria di nocciola tostata. L’assaggio si conclude, pacato, sui toni del pinolo. (80/100)