Quelle volte che ti prende l’entusiasmo della scoperta

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Ogni volta che riesco, la domenica frequento i mercatini dell’antiquariato. Bisogna arrivare molto presto, la mattina, quando i rivenditori hanno appena esposto i loro oggetti. Se hai l’occhio allenato, distingui i tavolini dei raccoglitori presso i quali è possibile trovare qualche piccolo oggetto prezioso, sfuggito alla vista degli antiquari professionisti. La stessa cosa succede quando vai a funghi, e fiuti le aree buone dal colore del fogliame o dall’odore del sottobosco, così ti soffermi su quel punto preciso e individui, nascosta, la preda passata inosservata a chi è transitato prima di te. Nell’uno e nell’altro caso, ti prende l’entusiasmo della scoperta, che ti gratifica per tutta la giornata.

Mi accade qualcosa del genere quando giro per le cantine e per i territori del vino e scovo qualche bottiglia su cui non si era posata, fin lì, particolare attenzione, e invece ha molto da dire. Il più recente incontro di questo genere l’ho avuto recandomi dai Piovene Porto Godi, storici produttori di vino a Toara di Villaga, piccolo borgo incastonato nel tratto meridionale dei Colli Berici. La loro cantina è addossata alla villa rustica cinquecentesca, la quale è proprio ai piedi dei pendii collinari. Tra i loro vini, mi è noto e mi è graditissimo il Riveselle, un Tai Rosso che esprime, a mio avviso, il potenziale più elegante della varietà, speziatissimo e succosso d’arancia sanguinella e di fiori d’ibisco, così come sono buonissimi e giustamente apprezzati dalla critica il Cabernet Pozzare, il Tai Rosso Thovara o il Merlot Fra i Broli, tutti nella denominazione Colli Berici. Sin qui, tuttavia, non avevo mai avuto l’occasione di assaggiare il loro Sauvignon Campigie, un vino che, oltretutto, sebbene si produca fin dagli anni Novanta, è stato sempre abbastanza fuori dai radar dei recensori, forse considerato marginale perché imbottigliato sotto l’igt Veneto, anziché nella denominazione di origine. Eppure, sin dal primo sorso mi sono fatto l’idea che si tratti di uno dei Sauvignon più buoni tra quelli prodotti in Italia per via di quella sua peculiarità tattile quasi gessosa o sabbiosa, lontana anni luce dalle smancerie varietali che vanno tanto di moda.

Per togliermi il dubbio che si trattasse di un abbaglio, ho voluto riprovarlo più volte, e a diversa temperatura (è mia ferma opinione che i vini bianchi d’eccellenza vadano bevuti alla temperatura di cantina, non più sotto), e l’idea mi si è fatta via via sempre più ferma. Con grande cortesia, i Piovene (c’erano Tommaso e i figli Alessandra ed Emanuele, mancava la nipote Chiara, in cantina tutti si occupano un po’ di tutto) sono anche andati a rovistare nei magazzini per farmi provare – e per provarla anche loro – qualche annata vecchia del Campiegie. Le ho assaggiate cercando di astrarmi dai segni che il vino portava con sé dei differenti interventi enologici che gli sono stati esercitati anno per anno, giacché in casa lo si considera da sempre una specie di bianco sperimentale e dunque gli sono sono applicate vinificazioni variabili, e soprattutto è di molto cambiato, di vendemmia in vendemmia, l’uso dei legni in affinamento e sono variate le loro tipologie in termini di essenze e di tostature. Ebbene, di là dei segni lasciati dalla cantina, l’impronta del Campigie si ravvede comunque sempre integra, soccorsa da una freschezza e da un sale che si conservano imperturbabili nel tempo.

Dunque, sì, questo Campigie è tra i migliori Sauvignon d’Italia. Forse il migliore, se non si cerca, nel Sauvignon, l’espressione varietale, bensì quella territoriale. Se voleste fare la vostra verifica, sappiate che, oltretutto, si tratta di un vino democratico, costando al dettaglio, a privati, in cantina, 14 euro.

Veneto Sauvignon Campigie 2023 Piovene Porto Godi
(94/100)