Qual è il colore giusto del rosato pugliese?

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Quel è il colore “giusto” per un vino rosato? La domanda può sembrare leziosa, ma non lo è affatto. Perché – sembra ovvio, ma per alcuni non lo è – è proprio il colore la caratteristica fondamentale di un vino rosato.
L’interrogativo l’ha – giustamente – sollevato qualche giorno fa Pasquale Porcelli su WineSurf. Che ha stigmatizzato quel che sta accadendo nel comparto dei rosati pugliesi.
“Da qualche tempo – scrive Pasquale – sul colore dei rosati pugliesi in generale è in atto un’operazione che considero pericolosa. Si assiste sempre più frequentemente ad un alleggerimento della sua tonalità per creare vini più pallidi meno ‘carichi’ nella tinta”. La giustificazione è la domanda del mercato, ma Pasquale scrive che “strategicamente è una scelta perdente”.
Porcelli lo spiega così: “La rinuncia alla propria identità è stata un’esperienza che in passato i produttori pugliesi hanno già fatto, tranne poi a dover tornare indietro, abbandonando la commercializzazione dei vini ottenuti da vitigni internazionali e puntando su quelli autoctoni. Il colore del rosato così come l’abbiamo sempre visto, nelle sue diverse sfumature, non è un richiamo generico alla tradizione, ma ad uno stile produttivo ben preciso”.
Un’osservazione precisa e articolata.
Ora, io sono tra coloro che pensano che la tradizione sia effettivamente una “innovazione ben riuscita”, che, come tale, ha trovato ampio consenso, venendo diffusamente accettata. Insomma, ritengo che la tradizione si “inventi” e che pertanto non sia un concetto statico, ma semmai dinamico.
Io stesso ho fortemente spinto per una colorazione più scarica del Chiaretto del “mio” lago di Garda, ritenendo che la tonalità leggera sia più coerente in termini di espressione territoriale. Da un lato perché le principali uve “da Chiaretto” – la corvina in sponda veronese, il groppello sulla riva lombarda – sono povere di sostanza coloranti. Dall’altra perché una pressatura soffice (o una macerazione molto breve) garantiscono meglio quella percezione “salina” che è essenziale per i vini nati sui suoli morenici del Garda.
Ma in Puglia?
Ecco, in Puglia ho notato anch’io – e l’ho scritto un paio di anni fa – una qualche confusione, che rischia di innescare una possibile deriva identitaria. Pasquale è convinto che il colore più carico appartenga all’identità rosatista pugliese. Io dico che l’anima del negroamaro e dei suoli del Salento mi è sin qui sembrato di trovarla più frequentemente nei rosati dalla tinta tradizionale. Non dico che i rosati pugliesi più chiari non siano buoni. Lo sono, e alcuni mi piacciono assai. Però forse ha ragione Pasquale Porcelli. Forse.

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