L’esprit des terroirs granitiques, Fully e Saint Joseph

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Le bizzarrie della natura creano talvolta delle similitudini che sembrano fatte apposta per sollecitare le curiosità degli appassionati. Se parliamo di vino non è scontato trovare unità geologiche e climatiche in luoghi molto lontani tra di loro e apparentemente non comunicanti. Forse qualcosa ha a che vedere con la mano dell’uomo, l’elemento unificante del terroir, quello che determina alla fine le scelte fondamentali in termini di viticoltura e di stile.

La masterclass “L’esprit des terroirs granitiques”, ad esempio, poneva a confronto vini dell’appellation di Saint-Joseph e il Petite Arvine di Fully (più qualche rosso locale) e voleva mettere in comunicazione due territori molto lontani tra di loro, uno nel centro-sud della Francia e uno nel Valais, nel cuore della Svizzera. Gli elementi in comune sono la presenza del fiume Rodano (Rhône francese) e il suolo granitico.

La petite arvine è una varietà molto interessante (che tra l’altro ha recentemente trovato casa nella Val d’Aosta). I grappoli hanno acini molto sottili e sviluppano aromi e acidità. In questo la varietà potrebbe ricordare lo chenin, anche per la capacità di produrre vini secchi, semi-secchi, dolci e spumanti. Richiede un duro lavoro perché queste caratteristiche si possano esprimere, sia per il clima, che in quel tratto della Svizzera è molto rigido in inverno e caldo d’estate, che per il suolo di gneiss e granito, che per le pendenze vertiginose dei migliori vigneti, che in questo modo riescono a ricevere molto più sole. Un insieme di montagna e sole che crea un paesaggio tra i più affascinanti, fateci un giro per rendervi conto di come i vignerons locali abbiano saputo trarre il meglio da condizioni difficili.

Saint-Joseph è nella Côtes-du-Rhône, non lontano da l’Hermitage. La syrah sul granito ha bisogno di freschezza per conservare eleganza e non perdere il frutto. I vigneti crescono su uno zoccolo granitico che ha in realtà dei profili molto diversi a seconda che siano nella parte più a nord rispetto a quella più a sud. Il mistral ha una grande influenza sui vini, arriva difficilmente nella parte più settentrionale.

Di seguito i vini assaggiati

I vini di Fully

Cave de l’Orlaya – Petite Arvine de Fully 2016. Uno dei cru più vocati del Valais. Naso forse un po’ tecnico, mandorla, fiori bianchi e agrumi. Ingresso morbido e poi molta acidità che non molla nemmeno un secondo. Molto strutturato, verticale, finale di rabarbaro, ricco di energia e cristallino. 14,7% di alcol. (88/100)

Cave des Amandiers – Petite Arvine les Seyses 2016. Vino affinato 5 mesi in tonneaux. Anche questo proviene dal cru du Fully, con suolo cristallino di gneiss a 600 metri di altitudine. Qui le note sono più esotiche di ananas e agrumi. Sembra di percepire dello zucchero residuo. Salino e complesso, ha note tanniche e termina sul miele e la mandorla. (86/100)

Cave des Amandiers – Ermitage 2016. Una digressione sul tema. Si tratta infatti di una marsanne, qui chiamata ermitage, dal famoso vigneto francese Hermitage. Affinato 22 mesi in legno, non ha effettuato la malolattica. Note di limone confit, pera e basilico. Teso e lungo, finisce minerale. (85/100)

Cave des Amandiers – Li Dzenëyou 2014. Il nome nel dialetto locale significa “le cadute di neve”. Una piccola produzione di 600 mezze bottiglie a base di petite arvine passita. Una versione non elegantissima, molto dolce e concentrata, ricorda l’orzo candito, la pera matura, la crema e il frutto della passione. Finisce senza grande tensione. (84/100)

Henri Valloton – Petite Arvine Tradition 2017. Vigne di circa 40 anni, a quasi 600 metri su suoli di granito e gneiss. Magnifico naso, estroverso, si sentono i fiori, l’anice, il miele, la genziana e gli agrumi. Nonostante i 15% di alcol, posso affermare che si tratta di un vino finissimo e presente, roccioso, grande acidità e materia si fondono perfettamente. Finale di erbe aromatiche e agrumi. Avrà molti anni davanti a sé. (93/100)

Philippe et Véronyc Mettaz – Petite Arvine Les Claives 2016. Una parcella in alto che vede molto sole. Il vino non fa malolattica e non vede il legno. Nonostante la presenza di solfiti, tira fuori sentori di pietra focaia, miele, fiori. Largo e potente, ritrova nel finale una certa acidità che lo rinfresca. Non è tra i più complessi. (86/100)

Philippe et Véronyc Mettaz – Ermitage Les Claives 2016. Anche questo esibisce un sentore di zolfo. Frutta mista al naso, resta delicato e fine, rivela bene il suo terroir. (88/100)

Gérard Dorsaz – Ma Petite Arvine 2016. Uno dei vini più delicati, le vigne si trovano su suolo più piatto alla base delle colline. Il produttore lavora sulla riduzione, il risultato sono dei vini più timidi nei primi anni di vita, che trovano perfetta espressione solo con il tempo. La parcella è stata isolata per le sue caratteristiche. Bergamotto, radici, minerale sassoso. Al palato è severo, solo la grande lunghezza riesce a far intuire la sua grande classe, finisce con tanto sale e acidità, profondo e delicato. Direi un vino più cerebrale che sensuale. (92/100)

Clos La Cigale – Ermitage de Fully 2017. Quasi 15% di alcol per un vino salino e che odora di nocciola, erbe, fieno. Rotondo, con acidità in sottofondo, finisce grasso e salato, quasi barocco e senza essere molto acido. (87/100)

Cave le Grillon – Petite Arvine de Fully 2017. Un aspetto più dolce di fiori e mandorla, piccole note vegetali e bergamotto in lontananza. L’acidità è meno penetrante, resta più rotondo, salvo un leggero sussulto acido nel finale di rabarbaro e minerale. (90/100)

Cave le Grillon – Marsanne Blanche de Fully 2016. Naso alcolico di susine sotto alcol e pera Williams. Grasso, ricco, sapido, sale e nocciola. Accentua sia il lato varietale della marsanne che l’influenza del terroir. (87/100)

Cave de l’Orlaya – Syrah 2016. Vinoso, aromi di pepe bianco, frutta nera e carne. Facile, semplice, accentua la tipicità varietale. Non va lontano da un bel gamay, anche per i tannini molto leggeri. (84/100)

Cave des Amandiers – Syrah les Tatzes 2016. Qui il legno si sente, conferisce un aroma medicinale e di liquirizia al naso. Frutta fredda e erbe alpine come rabarbaro e genziana. L’insieme è dolce, il legno non rende giustizia pienamente alla materia. (85/100)

Henri Valloton – Syrah 2016. Affumicato, erbe e frutta rossa, un legno più integrato e speziato. Rinfrescante, un peso medio e non eccede nella concentrazione, restando gradevole. Minerale. (90/100)

Gédard Dorsaz – Syrah Les Claives 2015. Un suolo diverso che deriva da una morena glaciale. Si fa col 10% di uva intera e affinamento in legno vecchio. Speziato, sa di pepe nero e chiodo di garofano. Freddo è però dinamico e sostenuto da un frutto maturo che conferisce una sfumatura più calda. Non ha una grande struttura, semplice. (85/100)

Gérard Dorsaz – Valais Cornalin de Fully 2016. Massiccio e tannico, ha molta frutta, speziato e gradevole nell’insieme. (84/100)

Gérard Dorsaz – Valais Humagne Rouge 2016. Pepe e fiori, elegante, ricorda una syrah. Maturo e tannico, facile e bello da bere. (87/100)

I vini di Saint-Joseph

Domaine Guy Farge – Saint-Joseph Blanc Vania 2016. Un’eccezione, un vino bianco, 80% di marsanne e 20% di roussanne. Lieviti spontanei e permanenza in fusti da 400 litri di quinto passaggio per metà della produzione. Naso che stranamente ricorda le fragole, al palato una nota classica di miele e spezie, più rotondo che profondo, resta comunque gradevole. (86/100)

Pierre Amadieu – Saint-Joseph Les Capelets 2015. Naso gradevole di arancia grattata, dolce e gradevole, resta varietale e senza molta personalità. (83/100)

Chapoutier – Saint-Joseph Le Clos 2015. Vendemmia diraspata al 90%. Fermentazione in cemento e affinamento in legno, nuovo per il 25%, per 20 mesi. Non è un vino per consumatori affrettati. Si apre con lentezza esasperante, inizia ridotto e pio rivela il suo grande carattere. Roccia bagnata, pepe dell’Indonesia, lampone, arancio, decisamente complesso. Tannico e denso, ha anche tanta classe e una lunghezza da primato. Servono almeno 10 o 15 anni, portate pazienza. Non è proprio a buon mercato, si trova a circa 170 euro. (94/100)

Chapoutier – Saint-Joseph les Granilites 2015. Più accessibile e semplice, non ha una grande complessità, manca di fondo e i tannini sono fin troppo in primo piano. (83/100)

Cave de Tain – Saint-Joseph SE Secheras 2015. Vinificazione in cemento, 6 mesi in acciaio e poi un anno in botti da 400 litri. Colore scuro, potente, odora di cioccolato, menta, resina. L’impressione è di un vino lavorato, non tra i più spontanei. Alcolico e tannico, ha potenza ma non eleganza e termina molto ridigo. (84/100)

Vignoble Aumeric Paillard – Saint-Joseph rouge 2015. Un produttore a tendenza naturale che non conoscevo, una delle belle sorprese della degustazione. Terreno a 300 metri su collina esposta al sole. Vigneto di 30 anni ad alta densità e con rese molto basse. Biologico dal 2014. 100% di vendemmia non diraspata. Si sente che si tratta di vendemmia intera per le forti note floreali e vegetali, poi entra la frutta fresca. Espressivo, vivo, gradevole e profondo, una visione libera e aperta che lo rende diverso da quasi tutti gli altri. Finale di cenere, matita, spezie, di grande finezza e bevibilità. (95/100)

Domaine du Monteillet – Saint-Joseph Cuvée du Papy 2016. Vivo e denso, aromi di violetta, pepe bianco e scorza di arancio. Un tannino elegante, la materia resta leggera e vicina al terroir. Finale di more e lampone, ha ancora molti anni davanti a sé. (91/100)

Domaine du Tunnel – Saint-Joseph 2016. Ancora una versione che mettere in risalto il terroir, evitando la semplificazione del varietale. Grafite, cedro, violetta, fresco, finissimo e elegante. Delicato, evita di approfondire la parte tannica e questo aiuta molto. Selvaggio, vivace, finisce su cenni di inchiostro, e rosa. Le vigne sono nella parte sud, il vino sembra ispirarsi molto ai migliori Cornas. Dimenticavo: prezzo molto conveniente, non fatevelo scappare. (94/100)

Domaine Vallet – Saint-Joseph Meribets 2016. Sembra non lontano da una ossidazione, figlia di troppa maturità. Al palato in realtà è fine, floreale, e i tannini sono maturi, termina morbido senza nessuna asperità. (84/100)

Domaine Curbis – Saint-Joseph 2016. Uno dei rari suoli con una parte argillo-calcarea. 100% diraspato. Vinificazione parte in acciaio e parte in legno. Dopo una piccola riduzione si apre bene, prevale una forte mineralità che quasi copre il frutto, un vino molto diverso dagli altri. Grasso e ricco, è uno dei più sudisti, sensuale e floreale, largo e maturo. Non manca di freschezza. (92/100)

Domaine Guy Farge – Saint-Joseph Terroir de Granit 2016. Vinificazione di 2 mesi con i raspi per un 60%. Poi passa in fusti di 400 litri di quinto passaggio e in botti grandi da 30 hl. Si potrebbe definire tipico nelle sue note di viola, liquirizia e arancia. Dinamico e fresco, più vivace che concentrato, forse manca di un pizzico di materia. Oppure serve solo un po’ di tempo che si sistemi il tutto. (88/100)

Domaine des Pierres Sèches – Saint-Joseph Cuvée Sainte-Epine 2016. Ecco per me il grande vino della degustazione. Quello dove tutto è perfetto, ha materia, complessità e un lato edonista che non lascerà nessun indifferente. Dapprima colpisce il lato varietale della grafite, e poi arriva un frutto perfettamente definito, maturo e disponibile. Anche alla beva è pervaso da un frutto esuberante, che sfuma nei fiori, nel pepe, nella menta e nel vegetale nobile. Lungo, ha una texture eccezionale, sembra non avere nessun peso tanto è setoso. (97/100)