Le ragioni dei nostalgici del sughero

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Fosse per me, il tappo in sughero l’avrei abolito da un bel po’. Meglio il tappo a vite (io preferisco dire la capsula a vite), che oltretutto ha il vantaggio di poter richiudere la bottiglia. O al limite il tappo a corona. Sono stufo dell’enorme variabilità dei vini imbottigliati nel sughero. Stufo agro. Però capisco che ci sia chi non la pensa come me. Sono i nostalgici del sughero. Bisogna pur sentire anche le loro ragioni.
Ho visto al proposito una lettera d’un lettore di Wine Spectator, il signor Gunther Homerlein, che ha scritto da Hong Kong. “Sono un po’ sorpreso – dice – che così poca gente, sia fra i professionisti che fra gli appassionati, veda la bellezza della variabilità fra una bottiglia e l’altra”. Un punto di vista certamente molto diverso dal mio, lo ammetto.
“Dov’è che nel ‘mondo naturale’ – continua il lettore – abbiamo a che fare con due organismi viventi che sono identici? Tutto varia, dai fiocchi di neve ai fiori. Alla luce della moltitudine di elementi che danno origine a una bottiglia di vino, ci sarà inevitabilmente una variazione da una bottiglia a quella successiva. E col passare del tempo quelle differenze si accresceranno. Ma non è forse questa un’aggiunta all’eccitazione e all’attesa che proviamo?”
E poi: “Dovremmo guardare alla variabilità delle bottiglie esattamente come a un altro elemento di ciò che ci affascina nel vino e ci fa tornare a lui”.
Insomma, un punto di vista a mio avviso un po’ spiazzante. Una sorta di filosofia della variabilità.
Ancora più spiazzante, lo ammetto, è quest’altra frase: “Il mio suggerimento: se bevete una bottiglia eccezionale, che vi porta a delle vette di piacere che non avreste mai immaginato, non cercate di ricreare quella sensazione. Tenetevi quel ricordo e passate alla prossima bottiglia”.
Ci devo pensare su.

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