Kalamass e il senso del luogo

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Riccardo Boggio mi dice che Kalamass era il nome celtico della Serra d’Ivrea, il rilievo collinare fieramente rettilineo che connota col suo andamento le morene glaciali del Canavese. L’aver dato questo stesso nome alla sua giovane azienda lo interpreto come una dichiarazione d’intenti, nel segno dell’appartenenza al territorio. Del resto, i suoi vini l’imprinting del luogo ce l’hanno stampato addosso.

La prima vigna Riccardo l’ha presa nel 2017. Non so quanti anni avesse allora, ma di sicuro erano molto pochi, e comunque era fresco di studi universitari in viticoltura ed enologia. Adesso ha messo a segno anche il progetto di avere una cantinetta tutta sua, smettendo di farsi ospitare in casa d’altri per fare i vini. Di ettari ne ha tre, di cui due e mezzo in produzione. Vengono dal recupero di terreni già vitati in passati, ma poi abbandonati. Sono tutti sulla Serra. A Bollengo coltiva il nebbiolo, a Palazzo Canavese la barbera e l’erbaluce. Siccome del suo Erbaluce e degli esperimenti che ci sta facendo sopra ne ho già parlato, qui mi concentro sui suoi rossi, il Ne Ba Ner, l’Ambiziosa e il Canavese Nebbiolo. Attenzione, due vini su tre sono in anteprima. Ma voi datemi retta e prenotateli già, se Riccardo accetta le prenotazioni.

Vino Rosso Ne Ba Ner 2021 Kalamass. Dall’acronimo Ne Ba Ner è facile capire che il vino viene da uve di nebbiolo, barbera e neretto. Rappresentano rispettivamente il venti, il sessanta e ancora il venti dell’uvaggio. Fanno parte di una vigna nella quale le tre varietà erano già piantate insieme, un po’ alla rinfusa, come succedeva una volta. “È il vino che voglio tenere più fresco, più beverino” dice lui, ma quando un piemontese vi parla di un vino beverino dovete comunque mettere in conto una certa struttura. Fa solo acciaio, vinificazione coi raspi. Sfoggia un luminoso colore rubino brillante innervato da tracce porporine. Chi mi conosce, sa che i vini luminosi mi dispongono bene. Ha così tanti fiori che se ce l’avessi avuto in un bicchiere scuro, dai profumi avrei potuto passarlo per un vino bianco. In bocca no, in bocca è un rosso ineluttabilmente piemontese, con quel tannino fremente che gratta sul palato. Sul fondo, indovinate un po’ che c’è? Ma il sale – chiaro! – trattandosi di un vino di morena. Anzi, tannino e sale è come giocassero a rimpiattino. (91/100)

Vino Rosso Ambiziosa 2021 Kalamass. Quest’annata è in bottiglia solo da una manciata di mesi. Esce tra un anno almeno. Il colore è cristallino e la florealità canavesana viene fuori tutta, anche se l’indole è ferocemente terragna, da braghe di fustagno. Per ora è classificata genericamente come “vino rosso”, ma dall’edizione 2022 l’Ambiziosa diventerà Canavese Barbera a denominazione di origine. Bene. Io trovo che sia importante stare dentro le denominazioni d’origine, soprattutto quando si hanno buone idee che possono diventare trainanti per gli altri. Riccardo le idee chiare mi pare che ce le abbia. Il vino viene da un vigneto di mezzo ettaro dove ci sono vigne ottantenni. Intorno alla barbera c’è un pergolato di erbaluce. Ad ora, l’Ambiziosa li ha dentro entrambi: il novanta per cento è barbera, il dieci è erbaluce, raccolta insieme alla barbera e dunque molto avanti con la maturazione. Di quanto io sia favorevole a mettere le bianche in uvaggio con le nere per fare i vini rossi e di come io ritenga necessario che si tornino a liberalizzare in tal senso i disciplinari, ne ho già scritto, ma approfitto per sottolinearlo ancora. Chi nutrisse dei dubbi sulla questione, provi quest’Ambiziosa e vedrà che i dubbi svaniranno come neve al sole. (93/100)

Canavese Nebbiolo 2022 Kalamass. Inutile che lo cerchiate: il vino è ancora nel legno e chissà quando passerà in bottiglia (forse ci vorranno ancora tre anni). Però se Riccardo facesse delle vendite en primeur come fanno i francesi, io lo acquisterei all’istante, perché accidenti se promette bene. D’accordo, il tannino è ispido (e ci mancherebbe che non lo fosse, trattandosi di un nebbiolo che sta tuttora in botte), ma i profumi sono di un’eleganza rara, ovviamente giocata sui toni dei fiori, essendo un rosso canavesano, e soprattutto della violetta, com’è altrettanto logico che sia, stante il vitigno. Da tutto quel sale che ha, riconosci la sua origine morenica in un battibaleno. La dichiarazione d’intenti assunta quando s’è deciso di intestare l’azienda al nome antico della Serra d’Ivrea è perfettamente assolta, e siamo solo all’inizio. Dov’è che arriverà questo ragazzo? (94/100)