Caluso e l’idea piemontese dei bianchi in stile da rosso

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Mi pare che in alcune parti del Piemonte vi sia la propensione piuttosto netta a pensare al vino bianco come se si trattasse di un rosso. Nel senso che vi si cerca una profondità tattile che è, concettualmente e anche talora matericamente, più tipica dei vini rossi che non dei bianchi. Insomma, si tratta di un approccio culturale che, ancorché non esclusivo, mi sembra indirizzare un gran numero di vignaioli, e che quindi è probabile sia da ascrivere tra gli elementi cardine dei terroir vitivinicoli della regione. Avevo già avuto questa impressione assaggiando la Nas-cëtta che si fa nel comune di Novello, in Langa, e anche lo stesso Timorasso dei Colli Tortonesi, e ne ho avuta conferma avvicinando un po’ di più, negli ultimi due anni, la realtà dell’Erbaluce di Caluso, che preferirei si chiamasse definitivamente solo Caluso, senza bisogno di specificare il nome di vitigno.

La mia impressione è che nel caso di Caluso, così come negli altri che ho citato, l’indole locale trovi alcune delle espressioni più convincenti quando il vino bianco assume una rilevanza tattile che poggia su un binomio di sensazioni insieme tanniche da un lato (ma forse qualcuno le definirebbe meglio come gessose o di grafite) e sempre piacevolmente sapide, le prime per le macerazioni che si conducono (il vitigno ha buccia spessa e lo consente e anzi lo richiede), le altre per l’eredità delle morene glaciali che connotano il territorio, entrambe comunque in grado di rintuzzare delle alcolicità che sono in alcuni casi rilevanti. Se qualcuno volesse riassumere questo binomio con l’abusata definizione di mineralità non me ne stupirei per niente, e anzi, in questo caso, la riterrei appropriata. Il che comporta il rischio, magari, di darne versioni che in gioventù possono apparire rigide e ingessate, e dunque hanno bisogno della loro evoluzione nella bottiglia o nel bicchiere.

D’accordo, i vini bianchi a base di erbaluce sono, dal lato aromatico, di volta in volta floreali (vi ho trovato spesso il fiore di camomilla, la ginestra), speziati (spezie piccantine, a tratti un che di zenzero), balsamici (la mentuccia, l’anice, il bosso, la foglia di pomodoro), agrumati (l’erba luigia, la buccia di limone verde, il pompelmo), fruttati (la mela, la pera cotta), e sono tutte venatura intriganti. Ma io non parlavo di profumi. Mi riferivo alle sensazioni tattili che ritrovo in bocca, e sono soprattutto queste il motivo fondante per cui consiglierei un bianco di Caluso.

Ne ho avuto quella che per me è una riprova (contestabile fin che si vuole, trattandosi di un’impressione del tutto soggettiva) grazie all’assaggio delle vasche di erbaluce che stanno affinando nella nuova sede di Kalamass, la cantina di Riccardo Boggio, da poco premiato come giovane vignaiolo dell’anno dall’associazione dei Giovani Vignaioli Canavesani nel corso del loro appuntamento annuale che si chiama ReWine. Riccardo sta affinando in acciaio tre diverse tesi dell’erbaluce destinata a diventare il suo Caluso 2022: una vasca matura sulla quantità standard di lieviti (la quantità è la stessa degli anni passati), in un’altra è pressoché azzerata, nella terza i livelli di fecce lasciati a contatto con il vino sono quasi doppi rispetto alla prima. Ne risultano ovviamente tre vini diversi, che hanno come trait d’union una sapidità scalpitante, ma che assumono una forza espressiva e una rotondità via via maggiore al salire della quantità di fecce lasciate a contatto con il vino. Insomma, man mano che il vino assume un volume tattile quasi da vino rosso, e ammetto che la terza tesi l’avrei acquistata così com’è senza alcuna esitazione. A margine dell’assaggio, sul mio bloc notes mi sono scritto questa frase: “Devo imparare che c’è chi il bianco lo interpreta come un rosso”.

Visto che ho parlato delle prove di vasca di Riccardo Boggio, vorrei soffermarmi anche su alcuni dei Caluso in bottiglia che ho assaggiato nel corso di ReWine, suoi e di altri due produttori. Vini da comprare e bere subito oppure da conservare in cantina qualche anno senza alcun timore.

Caluso 2020 Kalamass. Giovanissimo, sta entrando adesso sul mercato. Avvolgente e istintivamente morenico, ha il sale in rilievo e poi un finale asciuttissimo che rimette in gioco la sapidità. (89/100)

Caluso 2021 Kalamass. È in bottiglia da tre o quattro mesi, ma uscirà solo tra un anno e mezzo. Insomma, un’anteprima. Bianco serissimo, asciutto e molto salato. L’annata meno calda si avverte nella verticalità del sorso. (90/100)

Caluso Le Chiusure 2021 Favaro. Che sia un fuoriclasse è noto. Le sensazioni vegetali fresche si rincorrono a lungo, finché il vino si accinge a una chiusura sapida e asciuttissima. Un bianco di grande equilibrio. (92/100)

Caluso 2018 San Martin. L’aggettivo che ho scritto nei miei appunti è: ricco. Non rinuncia all’erba officinale e all’agrume, ma quel che mi affascina è la bocca sabbiosa e quasi graffiante. Molto convincente. (91/100)

Caluso 2021 San Martin. Scalpita per la troppa giovinezza, ma si farà di sicuro. Salatissimo e fresco, sfodera un finale asciutto da vino di classe. Poi, è tutto un rincorrersi di erbe balsamiche. (89/100)

Caluso Memento 2020 San Martin. Se volessi far provare un vino che rappresenta esattamente quell’idea di bianco dal carattere di rosso di cui ho parlato, sarebbe questo. E ha tanta vita davanti. (91/100)

Rifacendomi a quant’ho affermato in apertura, non posso che chiudere ripetendo pari pari quel che avevo già scritto del bianco ottenuto dalla Nas-cëtta, ossia che “a chi volesse provarlo, consiglio di non farlo raffreddare troppo“. “Insomma – dicevo -, è un bianco, ma per certi versi ha un’indole da rosso, e la temperatura di cantina mi pare quella più giusta”. Lo ripeto e lo ribadisco anche per il Caluso. Sono bianchi che danno il meglio di sé man mano che la temperatura cresce nel calice, e quindi sono bianchi di valore.