Il vino arretra, e adesso il gioco si fa duro

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Insisto da tempo nel dire che si produce troppo vino. Che la produzione sia eccessiva rispetto ai consumi è quanto mai evidente ora che l’inflazione è tornata a crescere, riaprendo scenari che in Europa non conoscevamo più da molti anni. Più che delle etichettature irlandesi, chi ha responsabilità nel settore del vino dovrebbe occuparsi di questo.

Un punto di osservazione di come vadano le vendite del vino in Italia è costituito dalla grande distribuzione. La gdo è il principale canale di vendita del vino in Italia, con una quota di mercato intorno al 35%. A leggere i numeri del 2022 c’è di che incominciare a essere preoccupati. Secondo i dati diffusi all’Osservatorio del Vino UIV-Ismea su dati Ismea-Nielsen, l’anno scorso a volume le vendite di vino in gdo sono calate del 6,8%. Dai cali generalizzati non si salva quasi nessuno. I vini rossi sono quelli che vanno peggio, stante che subiscono una flessione dell’8,4%, i bianchi scendono del 5,1%, i rosati vanno leggermente meno male, ma perdono comunque il 3,7% delle vendite rispetto all’anno prima. La batosta tocca tutte le categorie: i vini a denominazione di origine calano dell’8,1%, i vini igt sono a -7,4%, i vini generici, pur meno costosi, lasciano sul campo il 4,9% delle vendite.

Tra le denominazioni di origine maggiori, vanno bene solo il Vermentino di Sardegna, i bianchi trentino-tirolesi a base di Pinot Grigio e di Chardonnay e il Sauvignon friulano. Gli altri calano tutti. Tra le denominazioni di origine, le dinamiche peggiori sono quelle del Sangiovese di Romagna (-16,5%), del Piemonte Barbera (-15,9%), del Lambrusco di Sorbara (-14,1%) e del Sicilia Nero d’Avola (-13,5%), ma non è che gli altri facciano salti di gioia. Indietreggiano perfino gli spumanti, che fin qui avevano tirato il mercato: il saldo di fine anno è -2,7%, con il Prosecco che fa -7,4%, il Franciacorta -13,4%, il Trento (Doc) -17,4% e lo Champagne -25,2%. Nel mondo delle bollicine, accelerano solo gli spumanti charmat generici, quelli che con l’inflazione che galoppa sono cresciuti meno di prezzo e che costano di meno del Prosecco: hanno venduto il 12,7% in più di bottiglie.

In Italia c’è già chi cerca di correre ai ripari. Il Consorzio di tutela dei Vini d’Abruzzo è appena uscito con un comunicato stampa dal titolo eloquente: “Approvati interventi straordinari per salvaguardare il mercato dei vini d’Abruzzo”. In gdo il Montepulciano d’Abruzzo, terza denominazione italiana per fatturato nel settore, è calato dell’11,1%, mentre il Trebbiano d’Abruzzo è sceso del 6,7%. Il Consorzio ora annuncia che “verrà regolamentato lo stoccaggio dei vini, in modo da gestire i volumi di prodotto disponibili, con il blocage del 20% di Montepulciano d’Abruzzo Doc rivendicato nell’annata 2022” (dal provvedimento sono esclusi il vino biologico e il vino delle cantine che imbottigliano tutta la loro produzione).

All’estero non è che vadano meglio, e le contromisure richieste sono drastiche. Ho già raccontato che a Bordeaux si cercano i fondi per l’espianto di 15 mila ettari di vigneto. Secondo quanto racconta la rivista francese Vitisphere, c’è che chiede interventi straordinari di regolazione della produzione anche per due grandi denominazioni di origine della Spagna, Rioja e Rueda (la prima celebre per i rossi, l’altra grande produttrice di bianchi). Nella Rueda, la più rappresentativa organizzazione professionale agricola, l’Asaja, domanda la vendemmia verde su una fetta piuttosto ampia della denominazione. Nella Rioja le giacenze in aumento hanno spinto alcuni sindacati agricoli a chiedere vendemmia verde e distillazione di crisi. Chi pensa che le vicende francesi e spagnole non pesino sul vino italiano si sbaglia di grosso. La competizione è globale, e gli eccessi produttivi di un paese gravano indirettamente sull’altro. Soprattutto quando si sta parlando dei tre maggiori paesi viticoli europei. Temo dunque che sia tempo di ripensare la viticoltura europea. Totalmente. La domanda è: abbiamo in Italia, in Francia e in Sogna politici lungimiranti in grado di farlo? Ognuno si dia la risposta. Io dico solo che, pur non essendone felice, la congiuntura mi pare quella potenzialmente adatta alla riforma: da un lato il calo dei comsumi, dall’altro le spinte “proibizioniste”; in un simile scenario, chi si opporrebbe a una politica indirizzata a produrre meno vino?