C’è chi pensa che il rosé non sia neanche vino

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È dal 2008 che insisto nell’elencare le mie quattro ferree convinzioni riguardo ai grandi rosé. La prima è che ci sono uve e territori che sono vocati e uve e territori che invece non sono vocati. La seconda è che i grandi vini rosa si fanno solo con uve perfettamente mature (e intendo mature anche nei vinaccioli e nei tannini), provenienti da vigneti gestiti, accuditi, governati per la produzione di rosé. La terza è che i vini rosa devono essere vini di terroir, ossia che devono esprimere il carattere delle uve, dei suoli e dei climi d’origine e la storia dei territori di appartenenza. La quarta mia certezza è che un grande rosé è un vino difficilissimo da fare, per i tre motivi predetti, e anche perché il rosé non ti lascia scappatoie in cantina: ti giochi la stagione in poche ore, e se va male ciao ciao rosé. Queste cose, dette quindici anni fa, sembravano vagheggiamenti. Oggi che i grandi vini rosa di terroir si trovano anche in Italia mi sento calare addosso perfino più tristezza di allora, perché tutti si sono messi a fare rosé, ma in molti casi di rosa quei vini hanno soltanto il colorito spento. Si fanno perché il rosé va di moda e si usano uve del tutto inadatte, perfino quelle assolutamente immature provenienti dai diradamenti dei filari destinati a dare le uve per i vini rossi. Così ecco i tannini verdi e gli zuccheri per mascherarne l’amaro. Sono disgustato.

Tuttavia, mi consola e mi fa piacere leggere sul numero di agosto di Wine Spectator quanto dichiara il produttore di uno dei rosé che costituiscono da sempre uno dei miei punti di riferimento assoluti. Mi riferisco a Daniel Ravier del Domaine Tempier, che produce un Bandol rosé straordinario. “Per me il rosé – dice – è il vino più difficile da fare. Devi avere una grande precisione nella coltivazione del vigneto e un’eccellente qualità del frutto. E devi prendere tutte le più importanti decisioni di cantina in tempi veramente brevi. Fare un grande rosé sta tutto nella cura dei dettagli”. Meraviglioso. Le parole di Raviere sono contenute in un articolo di Kristen Bieler intitolato “The Seroius Side of Rosé”, che tradurrei in “la faccia seria del rosé”, e questo titolo mi piace parecchio, perché il grande vino rosa è un vino serissimo. Mi piace tantissimo anche quanto afferma, nello stesso articolo, un altro dei miei mostri sacri del rosé, ossia Jean-François Ott, quarta generazione dei proprietari dei Domaines Ott, produttori di eccellenti Bandol e Côtes de Provence. “Il rosé – racconta – è considerato un vino facile – facile da fare, facile da bere. Ma non puoi improvvisare nel fare rosé. Le uve coltivate in maniera specifica per produrre rosé sono molto differenti dalle uve coltivare per fare vino rosso“. Poi però c’è gente – tra i consumatori, tra gli operatori, tra gli stessi produttori – che il vino rosa lo prende sottogamba. “Molta gente pensa ancora che il rosé non sia davvero un vino” aggiunge un po’ sconsolato Ravier. Purtroppo è così, e ci sono troppi parvenue del vino rosa sembrano far di tutto per dimostrare che è vero.