Un, due, tre, ecco la nuova partita delle fiere del vino

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Confesso la mia inadeguatezza. Lo dimostrano i vari commenti positivi che ho letto e ascoltato da parte di colleghi della stampa italiana ed estera riguardo alla quarta edizione di Wine Paris & Vinexpo Paris svoltasi a metà febbraio nell’area fieristica di Paris Expo Porte de Versailles a Parigi. Va bene, ma io, che c’ero, e non per la prima volta, continuo a rimanere scettico, e dunque evidentemente inadeguato a capire. Infatti, ho visto ritmi molto rilassati e, spesso, stand e corridoi semivuoti. Di fatto, mi pare che Wine Paris sia una specie di ProWein un po’ più in piccolo, che ha come plus, seppure non indifferente, il contorno di Parigi, città ovviamente molto attrattiva per chi voglia fare un viaggio d’affari da fuori Europa, mettendoci insieme anche un briciolo di piacere.

Forse sbaglio ancora, ma anche il mondo produttivo francese mi è parso presente in maniera più massiccia a Düsseldorf che non a Parigi, anche se non ho dati certi a sostegno di questa mia impressione, se non la visita estemporanea ai padiglioni, e dunque potrei aver preso un granchio. Si dirà che questo, se assodato, può dipendere dal fatto che i francesi preferiscono investire in una fiera all’estero che non in un evento in casa, ma è una considerazione che rischia di minare alla radice l’ipotesi della centralità internazionale di Parigi. D’accordo, il mercato tedesco è importantissimo in quanto a volumi, e dunque anche i francesi devono esserci, ma solo io vedo contraddittoria una duplice fiera internazionale a Parigi e Düsseldorf nell’arco di un solo mese? Solo io ci vedo un rischio di reciproca cannibalizzazione? Perché mai un buyer extra europeo dovrebbe venire per due volte in Europa per partecipare a due fiere sostanzialmente simili?

Questa raffica di dubbi me ne genera un altro, ossia: perché mai un compratore estero dovrebbe venire in Europa tre volte in meno di due mesi, includendo Vinitaly? In questo caso l’obiezione è la seguente: a Vinitaly ci viene chi è interessato al vino italiano, essendo nei fatti la fiera veronesi a propensione prevalentemente nazionale, in termini di espositori, rispetto alla fiera francese e a quella tedesca, che sono nettamente orientata sulla partecipazione di espositori internazionali. Ma ecco che, inevitabilmente, si fa avanti un ulteriore interrogativo: per un produttore italiano di vino, ha senso ed è sostenibile partecipare a tre fiere – Parigi, Düsseldorf e Verona – nell’arco di meno di due mesi? Non mi pare che a questa domanda sia stata data risposta nei commenti alla fiera parigina letti finora. Allora la risposta provo a darla io: ha senso solo finché mamma Europa continua a riversare fondi a sostegno della promozione del vino. Se passate nei corridoi di una qualunque delle tre fiere, provate a far caso a quanti stand espongano i bollini dell’Europa o degli enti governativi dei Paesi europei e capirete che cosa intendo. Ma se questo generosissimo flusso di sussidi dovesse affievolirsi, il gioco varrà ancora la candela? La mia risposta è: no. E allora quale si taglierà tra le tre fiere? Lo so che gli organizzatori francesi mi odieranno, ma temo per loro che sarà Parigi, l’ultima nata, che nei fatti ricalca il modello di business delle due consorelle più anziane.

Qui, ecco spuntare un ultimo dubbio, probabilmente quello essenziale, ed è un macigno: ha ancora senso il modello di business delle fiere tradizionali del vino nell’epoca post Covid, nell’età del digitale? A mio avviso no, o almeno non del tutto. Ma non chiedetemi quale sia il nuovo modello cui penso: mi scusino i lettori, ma se avessi una risposta non me la giocherei su un giornale, perché mi ci arricchirei applicandola. Il primo che individuerà questa risposta sarà dominante. Per ora, non ci hanno provato né Parigi, né Düsseldorf, né Verona.