Tappo a vite, mi sorprendo che ci si sorprenda

screwcap_svitati_450

L’Italia è un Paese che sembra perennemente immobile, salvo poi ritrovarsi, in pochi mesi, con una donna a capo del Governo e un’altra donna a capo del maggior partito di opposizione. Anche l’Italia del vino sembra dominata dall’immobilismo conservatore, ma poi cinque aziende piuttosto note del vino italiano si mettono insieme per affermare la superiorità del tappo a vite rispetto al sughero. A stupirmi prima di tutto, in questo caso, è che ci sia voluto così tanto per poter (finalmente) disporre di una presa di posizione collettiva di un simile spessore, ma grazie al cielo che è arrivata, e spero proprio che ora i cinque facciano scuola, visto che nel mondo del vino molte cose funzionano per emulazione (insomma, si copia chi ha successo, e i cinque hanno avuto e hanno successo). Ancora di più mi stupisce che ci sia chi si stupisce del fatto che, mediamente, i vini dei cinque produttori siano meglio nelle bottiglie chiuse con il tappo a vite che non nelle bottiglie chiuse con il sughero. Per me si tratta di una constatazione scontata, ma evidentemente non tutti hanno ancora la percezione della grande affidabilità raggiunta da anni dalle chiusure a vite.

I cinque produttori che hanno recentemente presentato alla stampa ciascuno un loro vino con le due diverse chiusure, dandosi il nome collettivo Gli Svitati, sono Franz Haas, Graziano Prà, Jermann, Pojer e Sandri e Walter Massa. I cinque vini, bianchi e rossi, erano tutti sia in tappo a vite, sia in tappo in sughero. Da quanto leggo su varie testate (io non c’ero a causa del mio recente incidente alla clavicola) hanno nettamente vinto il confronto le versioni dei cinque vini in tappo a vite rispetto alle versioni dei medesimi vini sotto sughero. Che l’esito dovesse essere questo era quanto di più ovvio mi attendessi.

La mia scelta di campo in favore del tappo a vite, comprovata dall’esperienza, è ormai di vecchia data. Era il 16 novembre del 2006 quando scrivevo una articolo dal titolo esplicito: “Bando agli indugi: io sto col tappo a vite“. La prima degustazione comparativa di vini chiusi a vite e in sughero, con netta supremazia della chiusura a vite, la pubblicai nel luglio del 2008: in quel caso si trattava del Chiaretto dell’azienda agricola Le Fraghe. Per anni ho scritto e riscritto che trovo totalmente inaccettabile acquistare sei bottiglie di un medesimo vino e ritrovarmi con sei vini diversi a causa dell’inevitabile variabilità derivante dalla chiusura in sughero. Mi è sempre stata opposta la ritualità della stappatura del sughero rispetto all’apertura di una capsula a vite. Si tratta di un’obiezione nemica del vino, in quanto antepone un rito al vino stesso, sminuendone in tal modo il valore. Chi ha interesse vero nei confronti del vino dovrebbe curarsi prima di tutto del vino in sé. Il tappo a vite consente invece di acquistare sei bottiglie e di trovarle tutte uguali, con evoluzioni assolutamente identiche dei vini. Perché anche l’ottusa convinzione che il vino in tappo a vite non evolva è da attribuire alla categoria dei falsi miti, ossia delle scemenze.

Il tappo a vite non funziona solo in pochi casi, facilmente ovviabili. Il primo caso avverso si presenta quando la tappatrice a vite è usurata o tarata male. In tal caso, la capsula a vite non aderisce al vetro e il vino si ossida. Se il difetto è questo, è facile accorgersene al momento dell’acquisto, perché il tappo a vite “balla” solo a toccarlo o addirittura si sfila senza torcerlo: in quel caso, non va acquistata la bottiglia. Il secondo caso negativo è quello di un tappo a vite deformato da una botta presa nel trasporto. È sufficiente avere attenzione a non acquistare mai una bottiglia con un tappo a vite deformato. Il terzo e il quarto caso sono entrambi dovuti all’imperizia del produttore. Il vino chiuso in tappo a vite necessita di bassi quantitativi di solfiti. Se il produttore prepara il vino da mettere sotto vite con la stessa quantità di solfiti che usa per la chiusura in sughero, il vino chiuso con la vite risulterà ridotto, ossia puzzolente. Ugualmente, ciascun vino ha bisogno di un’adeguata ossigenazione per evolvere in modo ottimale, e nel caso del tappo a vite è essenziale la scelta della guaina del tappo da parte del produttore. Una guaina troppo poco traspirante darà vini poco evoluti, una guaina troppo traspidante darà vini troppo evoluti. Ma chi imbottiglia a vite in genere questa cosa la sa. I “difetti” possibili sono tutti qui, e sono veramente poca cosa.

Per quanto riguarda i pregi del tappo a vite, il primo, e più importante, l’ho già detto: le bottiglie evolvono tutte nello stesso, identico modo. Il secondo pregio è la facilità di apertura, che non richiede nessun cavatappi, bensì solo una leggera torsione. Il terzo è il fatto che la bottiglia non finita la puoi richiudere facilmente e dura ancora giorni. Chi obietta che una bottiglia aperta va finita o è molto ricco o non ha problemi di salute o di dieta. Oppure ha problemi e non lo sa (o fa finta).

Dunque, tappo a vite sempre e comunque? Questo no, questo non l’ho detto. Per esempio, e nonostante tutto, sui vini rossi molto eleganti o molto tannici continuo a veder meglio il sughero monopezzo, pur coi suoi rischi congeniti. Ma se crescesse l’utilizzo del tappo a vite, avremmo meno spreco di sughero e i monopezzo sarebbero migliori. Così, anche i fautori del sughero avrebbero vantaggio a diffondere l’uso della chiusura a vite.

L’Italia è un Paese conservatore, e fin qui sul tappo a vite ha spesso e molto storto il naso. Auspico dunque che l’opera di proselitismo dei cinque Svitati prosegua e faccia adepti, in modo che le cose cambino il più rapidamente e diffusamente possibile. Del resto, un anno fa pochi pensavano che la politica italiana potesse essere guidata da due donne. Dunque, cambiare è possibile, anche in Italia.