Terra dei Forti, misconosciuto gran cru del Pinot Grigio

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La Terra di Forti è la denominazione di origine di quel pezzo di Valdadige che è troppo appiccicato al Trentino per suscitare l’orgoglio dei veronesi ed è troppo condiviso con la provincia di Verona per destare l’esaltazione dei trentini. È il destino spurio delle aree di confine, di cui ci si ricorda quasi solo quando c’è qualche conflitto, politico o bellico (questa fu la linea di separazione e di contatto tra il Regno d’Italia e l’Impero austro-ungarico, da cui la presenza delle fortificazioni che intitolano la doc). Sopravvivono in una sorta di limbo sociale da cui emergono solo in casi eccezionali.

L’eccezionalità attuale sta nel fatto che un Pinot Grigio della Terra dei Forti è nell’elenco dei vini premiati con i tre bicchieri dalla guida del Gambero Rosso. Un caso unico e forse perfino pressoché per tutti impensabile, in una vallata nella quale la cooperazione, soprattutto, ha spinto forsennatamente verso l’espansione di questo vitigno che non è del tutto bianco, né è propriamente rosso, e ha invaso i mercati anglosassoni con bottiglie talvolta inoffensive e incolori.

Ammetto che mi ha fatto molto piacere che Cristina Fugatti, contitolare della cantina Roeno di Brentino Belluno, produttrice del Rivoli, il Terra dei Forti Pinot Grigio che ha compiuto l’impresa di entrare nella élite gamberista, mi abbia voluto citare nella presentazione che ne ha fatto alla stampa in una piovosa giornata veronese. Ha ricordato, Cristina, come più di venticinque anni fa fossi tra i pochissimi a credere nel potenziale e nella particolarità del Pinot Grigio della zona, tanto da spingermi a considerarne la Terra dei Forti una specie di gran cru per le sue peculariarità di suoli e di climi e di venti e la riconoscibilità dei vini che se ne possono cavare: più intonati ai profumi di pera sulla riva destra dell’Adige, che ha il sole soprattutto la mattina, più sui toni di mela sulla riva opposta, dove il sole picchia soprattutto il pomeriggio, comunque animati al contempo da una freschezza ficcante, da una traccia salina accattivante e da un finale asciuttissimo e quasi tannico. Tuttavia, rimasi pressoché inascoltato, salvo poter gioire, oggi, per la realizzazione del progetto di Roeno, che a lavorare su un Pinot Grigio di grande spessore ha incominciato nel 2000, attivando una propria zonazione, e adesso ha tagliato il traguardo.

“Dopo aver testato diverse aree vitate – spiega Giuseppe Fugatti, fratello di Cristina, che assieme agli enologi Mirko Maccani e Alessandro Corazzola ha zonato vigneti e terreni – abbiamo identificato in Rivoli Veronese un vero e proprio cru, vocato alla produzione del pinot grigio”. “Mio zio Giuseppe ha il pallino per il pinot grigio, ci crediamo tantissimo. In particolare, lui è convinto che sia una varietà adatta anche all’invecchiamento” gli fa eco Martina Centa, nuova generazione di Roeno, figlia di Roberta Fugatti, la sorella di Cristina e Giuseppe.

Il problema del pinot grigio, come vitigno, è che da un lato è una varietà – come dire – generosa, che se la lasci andare produce molto, e dall’altra ha la buccia sottile e il grappolo compatto, il che non aiuta dal lato sanitario. In più, fa vini bianchi, ma è una varietà che quand’è a maturazione è colorata, e spesso la si spoglia troppo perché non dia colore, il che le fa smarrire le proprie caratteristiche. Insomma, farci il vino non è assolutamente facile. Prova ne sia che il Rivoli è oggetto di cure maniacali: pressatura delicatissima e “di precisione”, avvio della fermentazione in acciaio, prosecuzione della fermentazione (in toto o in parte a seconda dell’annata) nel legno del tonneau, affinamento per una decina di mesi nel rovere (ancora totalmente o solo in parte) e poi riassemblaggio in acciaio prima dell’imbottigliamento, con successiva lunga sosta nel vetro. Tempi lunghi. Prova ne sia che il vino tribicchierato è del 2020, in questo caso integralmente elevato nella botte.

Del Pinot Grigio Rivoli ho avuto modo di assaggiare una sequenza di annate.

Valdadige Terra dei Forti Pinot Grigio Rivoli 2020 Roeno. Sfoggia una finezza esemplare e una persistenza avvincente. Propone tracce di fiori macerati e pera confittata. La vena salina è quella dell’anfiteatro morenico di Rivoli Veronese, piccolo contraltare delle più ampie morene gardesane. (94/100)

Valdadige Terra dei Forti Pinot Grigio Rivoli 2017 Roeno. I profumi sono quelli, delicati, dei fiori bianchi. Sotto il profilo tattile, invece, è roccioso, coriaceo. Il finale è un gioco a rimpiattino tra sapidità e tannicità, contrappuntate da una sottile piccantezza. Ha grande vita davanti a sé. (90/100)

Valdadige Terra dei Forti Pinot Grigio Rivoli 2016 Roeno. Sembra quasi di trovarsi di fronte a due vini diversi, che si susseguono al palato: a tratti il frutto è asprigno e grintoso, subito dopo pare che sia candito. Uguale per la vena piccante: richiama lo zenzero, ma in canditura. (87/100)

Valdadige Terra dei Forti Pinot Grigio Rivoli 2015 Roeno. Il vino è compiutamente territoriale, atesino. La pera si fonde con il cedro, ci sono freschezza, sale, tannino. Il tatto percepisce un incedere ghiaioso, come se il vino rotolasse nel palato. Un Pinot Grigio in stato di grazia. (91/100)

Valdadige Terra dei Forti Pinot Grigio 2004 Roeno. Un reperto, l’ultimo Pinot Grigio vinificato da Rolando Fugatti (la Ro di Roeno è l’iniziale del nome di battesimo). Ci lavorò con il figlio Giuseppe. Le tracce di brandy testimoniano l’evoluzione. Tuttavia, la vena salina e il tannino persistono ancora.