La Verdea e il fascino misterioso dell’uva antica

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Se non sbaglio – e posso sbagliare, perché il repertorio è in continua evoluzione – le varietà di uve da vino conosciute nel mondo sono circa milletrecento, di cui poco meno della metà in Italia. Questo vuol dire che noi italiani abbiamo una grande responsabilità in fatto di tutela della biodiversità viticola, e fortunatamente continuano a fiorire, qui e là, iniziative volte alla salvaguardia di vitigni rari.

L’ultima varietà arcaica nella quale mi sono imbattutto – o meglio, l’ultimo vino da varietà antica che ho avuto nel calice – ha il nome di Verdea.

Il vino me l’ha fatto assaggiare Diego Bassi, produttore a San Colombano al Lambro, nel Milanese, con la sua Casa Valdemagna, e presidente del consorzio di tutela della doc del San Colombano. La sua Verdea, tuttavia, non esce sotto la denominazione di origine, bensì con l’igt Collina del Milanese, giacché la varietà non è – ad ora – tra quelle autorizzate dal disciplinare.

Mi ha spiegato, Bassi, che la verdea era considerata soprattutto un’uva bianca “da mensa”, da mangiare a tavola. Io gli ho chiesto se avesse la buccia spessa, perché la trama mi ricordava quella di certi vini vesuviani a base di uva catalanesca, anch’essa ritenuta da tavola, anch’essa coriacea, anch’essa oggetto di recente riscoperta. Mi ha confermato che, sì, è uva di pelle dura. Sul quotidiano Il Giorno ho poi letto una dichiarazione di Bassi nella quale racconta che “quest’uva è prodotta anche in Liguria e Toscana come colombana”. C’è un filo sottile che unisce le varietà viticole vetuste, da sud a nord, da settentrione a meridione.

La Verdea di Casa Valdemagna ha corpo ben saldo, eppure anche beva perfetta in virtu delle sue sottili tracce saline, che raffrescano il sorso. Espone aromi non invadenti di fiori di campo, di fieno e di paglia e anche quasi, direi, un accenno delicatissimo di quell’affumicatura che ha la crosta del pane appena uscito dal forno a legna. Una combinazione aromatica anomala, atipica, ma le uve del passato sono così, hanno il loro imprinting e non c’è enologia che possa condizionarle. Il ricordo del sorso persiste a lungo, segno di carattere. L’esecuzione di cantina è pulita e rispettosa.

Il sito aziendale la consiglia con la “minutaglia di fiume” e già me la figuro perfetta compagna di un fritto croccante di avvannotti, e ho l’acquolina. In etichetta è consigliato di servirla fresca. Io ribadisco che, sì, va bevuta fresca, ma assolutamente non fredda. Perché per me i bianchi “antichi” vogliono tutt’al più la temperatura di cantina, mai sotto.

Se ho l’occasione, la ribevo di sicuro. Mi è piaciuta, e mi aspetto di trovarla in crescendo, con il tempo. Se avete l’occasione, anticipatemi.

Collina del Milanese Verdea 2022 Casa Valdemagna
(88/100)

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