Il tempo del Ravera

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Fu a Vinitaly del 2008 che conobbi il Barolo Ravera dell’azienda fondata da Elvio Cogno. Mi aggiravo tra gli stand dei produttori piemontesi, al padiglione 10, quando incontrai Gigi Piumatti, che allora curava insieme a Daniele Cernilli la guida Vini d’Italia, coedita, in quel periodo, dal Gambero Rosso e da Slow Food. Gli chiesi il favore di indicarmi un buon Barolo da comprare a prezzo non impossibile. Mi raccomandò con entusiasmo il Ravera, dicendomi che l’annata 2004, in uscita, era in uno stato di grazia straordinario. Gli credetti sulla parola e ne ordinai subito dodici bottiglie, che mi vennero spedite (di lì a pochi mesi avrebbe ottenuto i tre bicchieri). Me ne sono rimaste quattro. Anzi, tre, perché una l’ho bevuta qualche sera fa, mettendola a confronto col Ravera dell’annata corrente, ossia quella del 2021.

L’idea di questa minima verticale mi è saltata in mente dopo aver appreso che il 15 novembre Valter Fissore e Nadia Cogno, che conducono l’azienda familiare, fanno uscire un cofanetto speciale del Ravera, contenente sei diverse annate tra la 2006 e la 2016 (a essere precisi, 2006, 2011, 2012, 2013, 2014 e 2016). Tentato di comprarne un esemplare, ho pensato, per ora, di bere un’annata un po’ più vecchia, ossia la 2004, e una un po’ più giovane, vale a dire la 2021. Me n’è uscita una serata di particolare piacere e di ammirato stupore per me e per i miei commensali, riuniti al tavolo del ristorante Il Giardino delle Esperidi di Bardolino, scelto come sede della bevuta barolista in quanto avevo visto che nel menu erano indicati la zuppa di castagne, fagiano e rosmarino e il coniglio disossato con patate e liquirizia che col Ravera potevano starci, secondo me, a meraviglia, e così in effetti è stato.

Dico subito che la bottiglia del 2004 era semplicemente perfetta. Ho parlato, qui sopra, di ammirazione e di meraviglia, e il vino ci ha destato entrambi questi sentimenti. Frutto nitidissimo e compatto, tannino fermo, sapidità vibrante, beva, di conseguenza, gratificante; non vedo l’ora di stappare le altre che ho in cantina. Si è però rivelata avvincente anche la pur giovane 2021, che si è svelata come più leggera nella tonalità cromatica e più sul fruttino acidulo e sulla florealità. Due diversissime interpretazioni del medesimo cru, che ci hanno tenuto in bilico per tutta la serata su quale preferire, trovandogli a ogni modo un chiarissimo filo conduttore nelle tattilità di un tannino che ricordava, quasi, il cioccolato di Modica, con quella sua specie di intrigante e minuta granulosità. Alla fine, la preferenza è caduta di poco sul vino del 2004, soprattutto per la sua magnifica e inossidabile fierezza ventenne, e ci siamo ripromessi di tenere a mente il 2021 per ribercelo fra qualche anno, a maggior maturità, convinti che sarà in grado di ascendere ulteriormente in eleganza. Ha dunque ragione Valter Fissore quando afferma che “Ravera ha un carattere forte, chiede pazienza e attenzione. Ma se sai aspettare, ti restituisce vini profondi ed eleganti, mai immediati ma sinceri, che sanno parlare a chi li sa ascoltare“. Per quel che conoscono di quella vigna, e per la reiterata esperienza di qualche sera fa, trovo anche azzeccatissima un’altra affermazione del vignaiolo, quella in cui dice che “Ravera è proprio questo: un luogo vivo, unico, che non si domina ma si interpreta, accompagnandolo con rispetto. E ogni bottiglia racconta la memoria delle stagioni, della terra, e delle mani che l’hanno toccata”. È bello quando le frasi di chi fa vino trovano testimonianza concreta nei nostri calici di bevitori, e noi che eravamo a tavola la dimostrazione ce l’abbiamo avuta, netta, col berci due grandi vini.

Barolo Ravera 2004 Elvio Cogno
(96/100)

Barolo Ravera 2021 Elvio Cogno
(95/100)