Sull’utile inutilità delle recensioni on line

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Ci sono stati tempi in cui le guide e le riviste cartacee erano pressoché gli unici riferimenti per trovare informazioni su un vino. Poi sono arrivati i blog e successivamente i social media, per cui sono fiorite le recensioni on line, che hanno democratizzato la condivisione delle informazioni. Un primo scacco ai recensori on line è arrivato dalle app come Vivino o Wine-Searcher, l’una alimentata dai consumatori, l’altra dal rilancio delle valutazioni effettuate dai critici internazionali. Ora non c’è niente da fare: se cerchi notizie su un vino – qualunque vino – nelle prime due o tre videate di Google ti saltano fuori solo i siti di commercio elettronico, che riportano descrizioni molto simili tra di loro. Di fatto, sembra proprio che gli ecommerce del vino abbiano reso inutile recensire un vino on line, perché tanto chi interroga i motori di ricerca la tua recensione non la troverà quasi mai.

Me ne parlava qualche giorno fa Roberto Giuliani, animatore di Lavinium, uno dei portali storici italiani del settore del vino, attivo dal 2000, che per internet è quasi la preistoria. Ha ragione, avevo notato anch’io questo fenomeno nelle ultime settimane cercando notizie di alcuni vini francesi: è difficilissimo trovare perfino il sito dell’azienda, in genere “nascosto” dopo una videata abbondante di shop on line. Il che rappresenta un problema non solo di ordine pratico, ma anche di carattere informativo e culturale. Perché in questo modo si è arrivati a una standardizzazione delle notizie che riguardando le singole etichette. Un po’ come le carte dei vini di molti ristoranti, tutte uguali, perché di fatto orientate, se non addirittura gestite, dai distributori più attivi sulla piazza.

In un simile contesto, c’è chi si ostina comunque a recensire i vini. Lo faccio anch’io su questo The Internet Gourmet. Può essere lecito chiedersi se non si tratti di uno sciagurato e inutile esercizio di stile, una perdita di tempo, ammesso che non ci si accusi di trascendere addirittura nell’onanismo scrittorio. Non è così. Io penso che continui a trattarsi di un servizio utile, a una precisa condizione, per quanto concerne me e la mia rivista, senza con questo voler dire che la mia soluzione è meglio delle altre. La condizione, per quel che mi riguarda, è quella di superare i modi e i riti della recensione “classica”, basata sulla valutazione organolettica analitica.

Io preferisco provare a “raccontare” il vino rendendo gli aspettivi gustativi un semplice corollario della narrazione di quanto quel dato vino evoca di volta in volta in termini di piacevolezza percepita, di appartenenza stilistica, di espressione territoriale, di adesione a dinamiche di attualità o a canoni storici, oppure di quanto quel vino sia capace di sollecitare interrogativi e pensieri al bevitore, talvolta mettendolo in crisi e scardinandone le convinzioni, così come quel vino ha messo in crisi me e i miei pre-giudizi. È certamente, quella che propongo, una lettura che sconta un elevatissimo indice di soggettività, ed è esattamente questo l’elemento che ritengo essenziale, nella mia visione del vino. Altri privilegiano un tentativo di classificazione sistematica destinata a codificare il più oggettivamente possibile i vini che appartengano a specifiche menzioni geografiche, in un lavoro di continua catalogazione. Sono due approcci diversi, che credo contribuiscano entrambi a offrire delle prospettive di valutazione ai lettori, utili ad indirizzare le loro scelte d’acquisto attraverso una pluralità di punti di vista. Dunque, se le recensioni sono diventate inutili per i motori di ricerca, io credo che continuino ad essere utili per chi abbia intenzione di farsi un’idea sufficientemente articolata su un determinato vino, e chi ha quest’intenzione è disposto ad andare anche alla seconda o alla terza videata del motore di ricerca. Un’utile inutilità, insomma.