Che succede se il Sorbara mette su qualche anno?

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Lo dichiaro subito, così nessuno può nutrire dei dubbi: questa non è una sollecitazione a far invecchiare il Lambrusco di Sorbara, che per me è e resta un vino da bere con goloso entusiasmo nella sua età giovanile. Tuttavia, quanti hanno provato a verificare dal calice che cosa accade quando di un Sorbara fatto in autoclave te ne resta lì qualche bottiglia? Buttare oppure stappare? E stappando, che cosa si trova? Ebbene, adesso sono in grado di rispondere ai due quesiti. La prima risposta è scontata: si stappa sempre, assolutamente sempre, e questo vale per qualunque vino: la curiosità deve prevalere su qualunque pregiudizio. La risoluzione del secondo interrogativo, invece, mi hanno consentito di conseguirla Alberto Paltrinieri, la moglie Barbara Galassi e il loro enologo Attilio Pagli con una “verticale” del Lambrusco di Sorbara Leclisse, occasione rara e pressoché inedita di avere nel bicchiere sei annate diverse di un Lambrusco fatto col metodo Charmat o meglio, come dice la scheda tecnica, col metodo Martinotti.

Prima di dire dell’esito degli assaggi, tuttavia, mi piace trascrivere il ricordo dell’inizio della collaborazione tra i Paltrinieri e Pagli. “Un po’ di anni fa – ha raccontato l’enologo a proposito della famiglia di questi straordinari vignaioli di Sorbara (il paese) e del Sorbara (il vino) – mi hanno chiesto insistentemente di aiutarli. Perché abbiano chiesto a me, che non sapevo niente delle bollicine, rimane uno dei grandi misteri della vita“. Sta di fatto che la mattina del primo di luglio del 2008, Pagli approda in località Cristo, a Sorbara, dove ci cono le vigne e la cantina dei Paltrinieri. “Appena sceso  di macchina – ricorda – la mia prima parola è stata: boia!”. Quella notte era venuta giù una grandinata tremenda, il vigneto era devastato. “Facciamo con quel che c’è”, ha garantito, e loro, Alberto e Barbara, che si vedevano perduti, hanno tirato un sospiro di sollievo. Da lì è cominciata una collaborazione che ha condotto, nel tempo, ad affermare il Lambrusco di Sorbara come un vino di grande personalità e, soprattutto, territorialità. Ci si è riusciti – e qui riprendo il filo della narrazione di Attilio Pagli – “cercando di farlo con sempre meno colore, lottando contro l’estrazione”. Del resto, “nessuno qui cerca il corpo, la ricerca è esattamente all’oppostoe le parole d’ordine sono semmai l’evanescenza e la convivialità, abbandonando i residui zuccherini e invece esaltando il magico mix di acidità, frutto e pulizia. Parole sante.

I vini, adesso.

2021. Il colore somiglia molto a quello del “mio” Chiaretto bardolinese. Propone sensazioni intriganti di nocciola di montagna appena raccolta, una manciata di erbe officinali, i fruttini di bosco e una freschezza che proietta in lunghezza la beva. Piacevolissimo e serio. (88/100)

2020. La tonalità è quasi da rosé provenzale, molto tenue. È soprattutto la florealità a farsi avanti, e lo fa con quella capacità di fascinazione che possiede il miglior Sorbara. Man mano che sta nel bicchiere, esce la fragolina. In più, c’è il sale a manciate, a ravvivare il sorso a ogni momento. Gastronomicissimo. (90/100)

2018. Questa fu una delle più belle annate del Sorbara, e si sente tuttora, anche se incominciano a farsi avanti i segni della maturità, che si intravedono nella vena ramata del colore e nei primi profumi terziari di spezie. Permane tuttavia un equilibrio invidiabile tra la vena acida e una spina tannica inattesa. (87/100)

2016. Un Sorbara del 2016 che se ne avessi una bottiglia in cantina la stapperei volentieri a Natale. Si può prendere facilmente per un metodo classico, ha perfino sentori che somigliano alla crosta di pane. Il fruttino è maturo e vorrei dire denso, il colore è da fiore di pesco: la resa in vigna fu bassa e tutto fu più concentrato. (92/100)

2015. La tinta tira all’aranciato. “Forse è l’annata più bella che abbiamo fatto”, dice Pagli. Io so solo che il vino è sorprendentemente buono e complesso e nervosetto, in certi suoi tratti caratteriali. Il frutto è tuttavia gentilissimo, come in un dipinto all’acquarello. La vena sapida lo sospinge all’infinito. Sorprendente. (94/100)

2014. Ahimé, il tempo è stato impietoso, e la decadenza è già percepibile dal colore, con quei riflessi bruniti, e poi trova conferma trista nei profumi evoluti, tendenzialmente ossidativi. Del resto, lo sappiamo che fu una vendemmia difficilissima, in molte parti d’Italia. (ng)

La sintesi si ricava dalla mia introduzione e dalle note qui sopra: ribadisco dunque che il Lambrusco di Sorbara è un vino da godersi nella sua dinamicissima, ilare e gioiosa gioventù, e tuttavia con il Leclisse dei Paltrinieri si può anche tentare l’azzardo, e dunque, acquistatane una scatola da sei bottiglie, cinque si bevano subito e l’altra la si metta pure a riposare in cantina, che potrebbe valerne la pena, giusto per stupirsi ancora una volta dei molti inesplorati e arcani segreti del vino. (E se proprio andasse male, pazienza: ci saremmo giocati una decina di euro, perché è intorno a questo prezzo, o appena poco più, che si acquista.)