Sassaia, una stella nascente

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Sassaia è una cantina che ha sede a Capriata d’Orba, nell’Alessandrino. La vinificazione avviene in un capannone della zona artigianale, accanto c’è una ditta di serramenti, di fronte c’è un centro sportivo. Quando scendi dall’auto non penseresti che dentro a quel parallelepido prefabbricato c’è un impianto di vinificazione tenuto con cura maniacale. Tutto pulitissimo, tutto allineato al millimetro. La luce ti si accende quando assaggi i vini. Capisci che questa è destinata a diventare una delle stelle più luminose del vino monferrino. Ne sentirete parlare. Il merito è della nostalgia.

La nostalgia dei luoghi d’origine è quella che una dozzina di anni fa ha avvinto nelle proprie spire Enrico de Alessandrini, radici italiani, liguri – e la Liguria è appena di là del profilo delle colline -, ma vita e carriera tutta statunitense. Ha preso vigne tra Ovada e i Colli Tortonesi. Siccome di vini non ne sapeva, con perfetto pragmatismo d’oltreoceano ha frequentato il corso di enologia dell’Università della California, a Davis. Altrettanto pragmaticamente, la moglie Ellen, texana, si è messa a elaborare dati su dati, a costruire nuova memoria. “Con il riscaldamento globale che è in atto – dice lei – sta cambiando tutto, e quindi bisogna analizzare tutto”. Venendo da via, non ha pregiudizi, né porta il fardello del “si è sempre fatto così”.

Fin qui quanto ho visto e appreso entrato nello stabilimento. Poi ho avuto nel calice i vini. Un Piemonte Dolcetto e un Derthona Timorasso. Li ho assaggiati. Ho strabuzzato gli occhi. Li ho riassaggiati. Non ci potevo credere. Beva e finezza, un tocco di sale. Mi sono rivolto ad Ellen e le ho detto “mi pare che via piaccia la Borgogna“, perché il territorio si avverte, ma il portamento è borgognone. Lei ha sorriso e mi ha risposto che, sì, la Borgogna è il punto di riferimento. Tant’è che il loro consulente viene da là. Si chiama Pierre Naigeon, in Côte de Nuits il suo è un nome di valore. Si ispira al minimo interventismo. Lavora di precisione. I vini di Sassaia hanno quest’imprinting. Fermentano tutti in barrique. La barrique è un contenitore, non un insaporitore. “Abbiamo un approccio italiano ai suoli e al territorio, un approccio francese alla vinificazione e un approccio americano all’analisi dei dati” mi dice Ellen. Sintesi perfetta.

Il vino finisce soprattutto negli Stati Uniti. “Negli Usa – racconta Ellen – le nuove generazioni cercano qualcosa di nuovo. Il nostro stile di Dolcetto è diverso da quello della tradizione. Noi tentiamo di mantenere la freschezza del vino e cerchiamo un colore meno scuro. Non cerchiamo neppure l’invecchiamento. In America piace perché è diverso dal Dolcetto che trovano di solito. Somiglia più a un Beaujolais e ha molto frutto. Se un vino non profuma di frutto, per noi non va bene“. Dovrebbero leggerle molti suoi colleghi italiani, queste parole.

Tutta razionalità e poesia.

Piemonte Dolcetto 2021 Sassaia. Nello stile è veramente molto vicino a un Beaujolais, e il Beaujolais – non mi stanco di ricordarlo – è il sud della Borgogna. Ha freschezza e frutto, punta alla beva, ha una traccia di sale nel finale. Esce sotto la doc Piemonte perché a Sassaia hanno deciso di fare l’Ovada solo nelle stagioni più adatte. “Facciamo l’Ovada solo se ne vale veramente la pena, perché l’Ovada è il top class”, dice Ellen. L’importante è che continuino a fare questo irresistibile Dolcetto. (90/100)

Colli Tortonesi Timorasso Derthona 2021 Sassaia. Ma che buono! È come avere l’uva matura che schiocca sotto ai denti, che impregna di succo vivido il palato. Il frutto è purissimo e denso; il legno, perfettamente integrato e appena avvertito, fa da giusto sostegno, da moderato supporto. Un Timorasso dai tratti borgognoni, che mi ricorda i bianchi, a me cari, del Mâconnais. Il calice è subito vuoto. Le vigne sono a Monleale, in posisizione elevata. (94/100)