Da bambino ascoltavo le Fiabe sonore pubblicate dalla Fratelli Fabbri Editori su dischi a 45 giri allegati a degli album dalle figure sgargianti. A dire il vero, già da allora esibivo una scarsa propensione a credere ai contenuti delle novelle; forse stavo maturando quella coscienza critica che col tempo si è fatta via via più rognosa. Ora, non voglio assolutamente far passare come favola quanto scrivono alcuni libri di storia circa le motivazioni pratiche che un tempo guidavano i contadini a tenere i filari molto larghi e a maritare le viti con gli alberi da frutta (il ciliegio, il pesco per esempio) o da fresca e foglia (il salice per trarne i legacci oppure il gelso, quando divenne prezioso per la bachicoltura), ossia che il filare largo serviva per coltivare dell’altro (granaglie, ortaggi, fieno, e più tardi patate o asparagi) tra una fila e l’altra. Però comincio a domandarmi se non sia il caso di guardare a quelle vecchie pratiche con un occhio meno credulone e romantico (il doppio aggettivo è uno smaccato omaggio alla canzone Bufalo Bill di Francesco De Gregori). Altrimenti rischieremmo di non trovare una soluzione efficace ai problemi che il vino incontra per via del cambiamento climatico.
Come ho scritto di recente, le monocolture viticole connotate da impianti fittissimi studiati e voluti a partire dagli anni Novanta per avere rese basse per ceppo e di conseguenza uve concentratissime, stanno dando vini troppo alti di alcol e sempre meno adatti alla tavola. Qualcosa deve cambiare, e prima di tutto deve cambiare la viticoltura (uvaggi, piwi, vigneti in quota sono soluzioni tampone). Quanto al pensare di conservare le attuali forme di allevamento per poi essere costretti a dealcolare i vini, mi sembra sinceramente abbastanza insensato. La mia impressione, da non agronomo qual sono, è che se il clima continua a cambiare con i ritmi attuali occorrerà riportare gli alberi tra le vigne, unica chance per avere dei microclimi utili a far sì che la vigna ci dia delle uve idonee a produrre vini che sia possibile bere. Ci tornerò sopra a questa faccenda, magari sentendo chi ne sa più di me. Tuttavia, per cambiare i processi occorre abbattare i pregiudizi, perché i cambiamenti colturali devono sempre essere preceduti dai cambiamenti culturali, e non è un gioco di parole. Se continuiamo a credere che avere i filari larghi e gli alberi tra i filari sia solo una questione legata ad antiche pratiche agricole di sussitenza, ho paura che partiamo con il piede sbagliato. Forse è il caso di chiedersi se non sia la via per consentire la sussistenza della viticoltura stessa, e del vino. Altro che storie.