Un mio vecchio professore, un sacerdote salesiano, aveva l’abitudine di raccontare la barzelletta dei tre misteri della Chiesa cui nessuno sa dare risposta. Che sono questi: dove trovino i soldi i salesiani, come la pensino i gesuiti e quante siano le congregazioni delle suore. Ogni volta che incontro qualche wine writer americano, mi accorgo che c’è un mistero ancora più insondabile, quando si abbia a che fare con l’Italia e con il vino. Che è questo: perché mai gli italiani snobbino il Prosecco. Loro, gli americani, di questa cosa non riescono proprio a capacitarsi.
Prendiamo Robert Camuto, che collabora con Wine Spectator dall’Europa. Di recente ha scritto così: “Dopo diversi anni passati in Italia e dopo aver bevuto innumerevoli aperitivi, sono stato sorpreso di apprenderlo: molti italiani che si considerano intelligenti e sofisticati non bevono Prosecco. Tra i buongustai, gli enofili e gli stessi operatori, lo spumante ultrapopolare dell’Italia nord-orientale è spesso considerato una brodaglia per le masse. Per questa gente, un metodo classico della Franciacorta o di Trento è accettabile quando si sta in buona compagnia. Ma per un numero sorprendente di produttori italiani, le uniche bolle che passano per le loro labbra provengono dallo Champagne. È snobismo, sicuro”. Ma è anche un condizionamento, alla lunga. “Devo ammettere – aggiunge Camuto – che la Prosecco-fobia mi ha fregato. Se ospito degli americani, degli inglesi o persino dei francesi, non esito a versare loro un Prosecco. Ma se i miei ospiti sono appassionati italiani di vino, è probabile che gli serva dell’altro”.
Lo snobismo anti-prosecchista non ha evidentemente spiegazione neppure per Kerin O’Keefe, che si occupa dell’Italia per Wine Enthusiast. È sua la recensione del vino che sta al primo posto nella Top 100 della rivista americana. Alla posizione numero uno, miglior vino del mondo nel 2019, c’è un Prosecco. Il Rustico della Nino Franco, che è, per dirla tutta, un Valdobbiadene Prosecco Superiore, e non è neppure la linea top dell’azienda. Kerin O’Keefe lo descrive così: “Aromi di fiori bianchi primaverili, pera Williams e agrumi si sprigionano dal calice. Il palato vivace e rinfrescante è pieno di energia e offre sentori freschi di mela gialla, succo di limone e scorza d’arancia, bilanciati da un’acidità vibrante. Un perlage di bolle piccole, raffinate e continue, offre uno sfondo setoso”. Una narrazione sontuosa.
Elisabetta Oppici
Touchée. Ho letto con un brivido, riconoscendomi nell’atteggiamento descritto. Sono un’appassionata di vino italiano, d sono stata una produttrice pioniera, cresciuta tra i filari e… è vero, schivo con cura il prosecco. Devo dire che amo la natura e i paesaggi e quel che ho visto in quelle zone per me è terrificante. E che non ho mai assaggiato un buon prosecco. Su questo punto mi metterò d’impegno e cercherò di individuare quelli premiati e assaggiarli. Perché lo snobismo, a mio avviso, è in qualche modo una forma di stupidità.
Angelo Peretti
Grazie per il commento. In ogni zona, in ogni denominazione, c’è chi lavora meglio e chi lavora peggio. In ogni zona, in ogni denominazione, c’è chi si mette in gioco per dare una propria idea del territorio e c’è chi percorre la scorciatoia dell’omologazione. Anche nel mondo del Prosecco.
Sergio Frigieri
Vero,anch’io non sono un seguace,ma a proposito di Valdobbiadene consiglio l’az. STANA,il rifermentato col fondo base a prezzo molto interessante,grazie,Sergio-MO