Prosecco e Unesco, il matrimonio s’ha da fare?

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Prendo spunto da un recente comunicato stampa di Slow Food Veneto per parlare di territorio, Unesco e salvaguardia dell’ambiente.

Con un pizzico di cinismo dirò che ‘sta faccenda dell’Unesco comincia a crearmi più di qualche dubbio (eufemismo). Nel senso che ormai va a finire che anche l’ultimo condominio in periferia di Milano riceve il prezioso bollino dell’Unesco o fa domanda per averlo. Fai prima a dire chi è senza. L’Unesco è dappertutto, protegge di qua, protegge di là. Chissà perché, ma mi viene immediatamente da pensare alla situazione delle doc e docg in Italia. Sono così tante che ormai nessuno più le considera. La moltiplicazione provoca lo svuotamento di valore delle vere denominazioni, quelle che hanno realmente ragione di esistere. Andatevi a vedere l’elenco delle doc e vi farete qualche bella risata, se siete giù di morale potrebbe anche fare bene alla salute.

Facciamoci più seri e vediamo invece quello che dice Slow Food Veneto, prendendo i passaggi fondamentali del comunicato.

“Slow Food Veneto ha a cuore la salvaguardia e la promozione delle produzioni di qualità e le realtà virtuose di un territorio meraviglioso come quello Veneto, una regione dove centinaia di produttori agricoli si impegnano con competenza per lavorare in modo sostenibile, tutelando la biodiversità. Oggi molta parte della viticultura si è progressivamente trasformata in una attività con connotati intensivi e spesso monoculturali: una monocultura fortemente connotata e condizionata alla chimica di sintesi, che è protagonista in vigna e in cantina. Le regole del business agroindustriale hanno imposto un’espansione senza precedenti delle aree a vigneto in zone nuove, spesso per nulla vocate a questo tipo di coltura. In conseguenza della candidatura delle Colline del Prosecco a Patrimonio Unesco, occorre ribadire che questo territorio deve impegnarsi a realizzare sostanziali modifiche del sistema di produzione, al fine di preservare il capitale più prezioso e indisponibile: un paesaggio del quale i nostri figli potranno esserci grati. Tutelare la biodiversità locale, salvaguardare la fertilità dei suoli, preservare la qualità delle acque e degli habitat, e la salute e la qualità di vita delle persone è un percorso virtuoso che non può più attendere. Per questo la candidatura dev’essere da subito accompagnata da un protocollo serio, concreto, preciso, che tuteli la salute dei consumatori e dei produttori e preveda, in tempi rapidi, il bando di tutti i pesticidi e diserbanti, l’introduzione di tecniche colturali sostenibili e soprattutto il ripristino e la tutela della biodiversità”.

Niente da dire. Una presa di posizione netta e condivisibile, almeno da parte di chi scrive.

In realtà, come abbiamo avuto modo di sottolineare più volte su queste pagine, il fenomeno Prosecco ha raggiunto una dimensione tale da rappresentare un volano economico fondamentale per tutta la Regione. Credere che saranno prese decisioni davvero coraggiose nella direzione della eliminazione della chimica dai vigneti e del ripristino della biodiversità, mi pare al momento pura utopia.

È utile però che si apra un dibattito sul futuro del territorio e sulla direzione che vogliamo dare alla nostra agricoltura.

Sul piano della qualità sarà sempre più evidente il distacco tra i vini di collina, per semplicità quelli docg, rispetto a quelli della nuova doc. Il mercato dimostra di avere bisogno di questi vini e quando c’è domanda, non c’è dubbio che l’offerta fa di tutto per adeguarsi. Resta da spiegare al consumatore meno attento (che è quello che genera volumi, ricordiamolo) la differenza tra un vino e un altro, sia in termini di qualità percepita del prodotto, ma soprattutto in materia di prezzi. Se alcune tipologie di vino sono riuscite a creare al loro interno una evidente scala di valori, il Prosecco, per il suo essere un prodotto molto legato alle tecnologie di cantina, presenta poche differenze stilistiche fra un produttore e un altro, e anche tra una zona e un’altra. Tradotto: serve più coraggio e i vini devono allontanarsi dall’appiattimento qualitativo se vogliono spuntare prezzi più alti. Questa è a mio avviso la sfida prossima ventura.

I produttori con le vigne più vocate (ergo quelle di collina) dovranno trovare una loro strada per caratterizzare il prodotto. Magari iniziamo a parlare di cru e di singoli vigneti con precise delimitazioni. E sicuramente questi produttori dovranno lavorare nella direzione indicata da Slow Food. Meno tecnica, meno chimica, più rispetto del suolo.

Poi ci sarà la gran massa del Prosecco doc a rappresentare la stragrande maggioranza dei volumi sul mercato. Qui sarà più difficile chiedere originalità e rispetto del terroir. Visto che il prezzo sarà la principale discriminante, le logiche commerciali non potranno che avere la meglio. Auspichiamo che anche qui un pochino alla volta il legislatore e i produttori trovino delle soluzioni più rispettose del consumatore.

Ah, mi stavo dimenticando dell’Unesco. Serve investire (sì, perché la procedura è costosissima) per ottenerne l’imprimatur? Alcuni recenti studi affermano, numeri alla mano, che l’operazione è in perdita. Magari ve ne parlerò prossimamente su queste pagine.


1 comment

  1. diana

    Assolutamente d’accordo con lei, come stanno andando le cose ora non c’è stimolo a produrre qualità ed alla salvaguardia del territorio, ma solo a produrre.

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