Com’è masticare annate diverse dello stesso vino

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Seguito a sentir dire che tra i motivi delle difficolta attuali del vino c’è il fatto che se n’è persa la valenza di alimento. Se questo è vero – ed è almeno in parte vero – bisognerebbe che qualche volta il vino lo valutassimo come si fa con la gran maggioranza degli altri alimenti, ossia masticandolo. Io trovo che si tratti di un esercizio utilissimo per farmi un’idea se ci sia davvero continuità di origine fra vini di diverse annate o provenienti da vinificazioni differenti. Che so, tra un rosso di due e di venti anni che portano in etichetta il nome dello stesso vigneto, oppure tra un vino rosso e un vino rosa che provengano dai medesimi vitigni, coltivati nello stesso territorio.

Ne parlavo con alcuni colleghi durante la presentazione dell’annata 2022 del Valpolicella Superiore Montegradella di Santa Sofia, azienda che ha sede presso l’omonima villa palladiana di Pedemonte, nel comune di San Pietro in Cariano, zona Classica. L’occasione era quella di ricordare i sessant’anni dalla nascita di questo vino, che Giancarlo Begnoni ideò nel 1965 con le uve provenienti dalla fascia collinare che sta tra Fumane e Marano. Gli diede nome Montegradella perché gradella in dialetto veronese è la graticola su cui si cuociono le grigliate sul camino, e là sopra il sole picchiava così forte che sembrava di stare, appunto, in graticola. Sfruttando la maturità assicurata dal sole e poi anche l’appassimento delle uve nel fruttaio, Begnoni aveva l’intenzione di fare una specie di super Valpolicella che fosse in grado di mettersi alla pari con certi rossi toscani e piemontesi che all’epoca andavano per la maggiore. Era, ripeto, il 1965, e l’Amarone era ancora molto lontano da quel successo che ebbe poi dalla fine degli anni Ottanta.

Purtroppo, non si è potuto assaggiare il vino del 1965, ma quello di vent’anni dopo sì, l’annata 1985, ed era interessante confrontarlo col più recente in bottiglia, che come ho detto è il 2022. Però il confronto era piuttosto difficile, perché tra il 1985 e il 2022 sono cambiate, in Valpolicella, così tante cose che pare di stare in due mondi diversi, per via del cambiamento climatico, della composizione ampelografica dei vigneti e delle tecniche viticole (ci fu passaggio massiccio dalla pergola al filare), che, insieme, hanno portato a maturità molto più spinte delle uve. Tant’è vero che, sebbene il Montegradella continui a venire da uve appassite, il tempo di appassimento è adesso di una trentina di giorni, inferiore a quello impiegato qualche decina di anni fa. Ne consegue che da allora a oggi è diverso per profondità e per concentrazione anche il colore del vino, e quello di allora era più leggero dell’attuale, nonostante il maggior tempo di appassimento, ma in virtù della minor presenza del corvinone, che oggi è invece piuttosto presente e si fa sentire. Qui si potrebbe aprire una discussione su quale possa essere il futuro del Valpolicella Superiore, giacché qualcuno lo trae da uve fresche e qualcun altro da appassimento. Luciano Begnoni ha optato per seguitare nelle modalità che furono pensate dal padre Giancarlo, e dunque appassisce l’uva. “Andiamo avanti per la nostra strada, con lo stile Santa Sofia” mi ha detto, convinto. “Non seguiamo le mode e dunque io non faccio altro che seguire lo stile di papà”, così ha ribadito, e mi ha fatto piacere prendere atto di un’altra sua affermazione ossia quella che il Montegradella “sta avendo un nuova giovinezza negli Stati Uniti”, nonostante le voci dissonanti che provengono dal mercato americano.

Però non sono ancora venuto al punto, ossia perché i vini di annate diverse si debbano masticare. Il motivo per cui ne ho parlato in tal modo ai colleghi consisteva proprio nell’evidenza che il 1985 e il 2022 sono concettualmente dissimili, e dunque esisteva a mio parere un solo modo di verificarne la comune origine, ed era quello di mettere in bocca un sorso minimo del vino più vecchio, di farne una veloce masticazione, come se fosse cibo, per poi deglutirlo e passare a fare immediatamente la medesima operazione con il vino più giovane. È un artificio che utilizzo da molto tempo con i rossi di Bordeaux, facendo un confronto palatale fra le diverse annate. L’esperienza mi dice che se a seguito della rapida masticazione del medesimo vino di annate diverse non avverto scalini tattili, allora c’è origine comune; nel caso contrario, nutro dei dubbi. Ebbene, i miei colleghi hanno concordato che, sottoposte a questo specifico test, vi era effettivamente continuità fra il 1985 e il 2022. Esame superato.

Valpolicella Classico Superiore Monte Gradella 1985 Santa Sofia. Solo dodici gradi e mezzo di alcol, nonostante l’appassimento. Colore poco profondo. La bottiglia si è presentata un po’ evoluta, ma il vino si è comunque mostrato ancora salatino e succosetto, molto aderente all’impronta classica del Valpolicella. Allora usciva sette anni dopo la vendemmia, a seguito di lungo affinamento in botte.

Valpolicella Classico Superiore Montegradella 2022 Santa Sofia. Quattordici gradi di alcol (la prova tangibile che in Valpolicella è cambiato tutto tra salto climatico e variazione ampelografica). Colore di ciliegia matura, bocca croccante di frutto, e il frutto è, di nuovo, soprattutto la ciliegia (anche un po’ sotto spirito), come si vuole in Valpolicella. Secco, perché i Begnoni, grazie al cielo, fanno da sempre vini secchi.