L’Oltrepò può essere davvero una casa del pinot nero?

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La spiegazione non credo possa essere migliore di questa che virgoletto: “I vigneti che si alternano a boschi, i suoli che non spingono, un clima propizio con queste forti escursioni termiche, l’aria ventilata che gira nella valle in continuazione per cui asciuga l’uva e la tiene croccante di notte”. Chi parla è Ottavia Giorgi di Vistarino, che guida l’azienda Conte Vistarino, in Oltrepò Pavese, e che ha deciso di fare della sua grande tenuta – così grande da costituire un intero territorio comunale – un caposaldo del pinot nero vinificato in rosso in terra oltrepadana. Una sfida, di quelle che fanno tremare i polsi, perché il pinot nero, si sa, per un produttore di vino è attrazione e tradimento, è amore e abbandono, è Eros e Thanatos. “O scappavo dall’altra parte del mondo, o tentavo l’impossibile” aggiunge, e con le condizioni e con la tradizione viticola che ci sono là, perché mai non provare, anche se la strada è tutta in salita?

Le prima parole di Ottavia Giorgi di Vistarino le ho prese da un video, le altre le ha pronunciate presentandolo. A dire il vero, sotto il profilo tecnico mi pare che quello che ho definito genericamente come un video si debba invece chiamare un corto cinematografico. Si intitola “La Casa del Pinot Nero” e ha una regia importante, per il mondo enoico, ossia quella di Massimo Zanichelli, che oltre a fare con i suoi libri recenti l’enciclopedista dei vini frizzanti e ora anche dei vini di montagna, nutre pure da lungo tempo una passionaccia irrefrenabile e una competenza squisita per la settima arte, quella del cinema. Chi volesse vederlo, questo filmato, lo può trovare su YouTube, e nonostante io sia tutt’altro che un cinefilo (perdonami, Massimo), credo che le parole e le immagini forniscano uno spaccato piuttosto significativo del potenziale ancora irrisolto dell’Oltrepò. A costo di attrarmi maggiori antipatie di quelle che già mi vengono destinate, oserei perfino affermare che più che un investimento nel campo del marketing aziendale, sembra di trovarsi di fronte a un accorato contributo alla promozione territoriale, e mi sorprende dunque che a metterlo in atto sia un’azienda prima che un’istituzione, ma a volte le cose vanno così, e dunque può succedere che a sospingere un’area – e nel campo del vino accade meno raramente di quel che sembri – venga prima il privato. Dopotutto, Ottavia Giorgi di Vistarino questa tensione emotiva e progettuale rivolta alla crescita del contesto locale la ammette. “Il mio futuro non riguarda solo la mia azienda. Il mio futuro riguarda l’Oltrepò, la crescita del territorio, della qualità della vita” ha affermato, mentre levava in alto un calice, e non so che cosa si celi dietro queste affermazioni, né glielo chiedo, perché i sogni e i progetti vanno svelati quando si realizzano, altrimenti si passa per visionari.

Il sogno di fare del grande pinot nero in Oltrepò Pavese, lei lo ha già concretizzato, perché i tre cru che produce sono davvero tangibilmente consistenti, e sono attratto da questi vini. Si chiamano Pernice, Bertone e Tavernetto. “Pernice – racconta Ottavia Giorgi di Vistarino – è più selvatico, è il primo, il figlio maggiore, ma nello stesso tempo è il più ribelle, con una personalità incredibile. Bertone è un vino elegante, canonico. È quello che ci dà più difficoltà, da primo della della classe è un po’ viziato, devi correre in vendemmia, produce sempre poco o niente, dà i problemi della star. Tavernetto è il tipico terzo figlio, quello che arriva per ultimo e deve essere autosufficiente, ma io ce l’ho particolarmente in simpatia, perché come tutti i terzi che sono meno sotto i riflettori potrebbe essere quello che viene fuori con delle sorprese”.

Del Pernice ho avuto modo di assaggiare tutte le ultime annate imbottigliate, dalla 2010 fino alla 2019 che non è ancora sul mercato. Degli altri solo la 2019, e anche questi saranno sugli scaffali più avanti.

Pinot Nero dell’Oltrepò Pavese Bertone 2019. Trasmette forza e calore, credo sia il suo imprinting. È in fasce, tuttora serrato dal legno, ma dispone di un tannino molto caratteriale. Crescerà alla distanza. (90/100)

Pinot Nero dell’Oltrepò Pavese Tavernetto 2019. In certe sfumature, il colore mi ricorda la buccia delle arance sanguinelle. Floreale, scalpitante e irrequeto. Una specie di monello che fa simpatia. (88/100)

Pinot Nero dell’Oltrepò Pavese Pernice 2019. Brillante, chiaro, cristallino. La veste giovane di un vino che promette di maturare con lentezza e determinazione. Ha sostanza ed equilibrio, insieme. (93/100)

Pinot Nero dell’Oltrepò Pavese Pernice 2018. L’annata qualcuno la trova minore, ma io adoro le annate minori, se sono bene interpretate, e questo vino rarefatto spiega perché mi affascinino così tanto. (94/100)

Pinot Nero dell’Oltrepò Pavese Pernice 2017. La tonalità più cupa anticipa che il sorso sarà introverso, raggomitolato su se stesso. Pretende chissà quanta pazienza ed attesa, ma ha sale e tannino deciso. (88/100)

Provincia di Pavia Pinot Nero Pernice 2015. Vibrante, nervoso, eppure, per certi versi, anche austero. Ha un doppio carattere, una personalità controversa. Come succede a volte con il pinot nero. (89/100)

Provincia di Pavia Pinot Nero Pernice 2013. Quando trovo un colore così terso, mi viene già il sorriso. Se poi dal bicchiere rinviene una simile eleganza, allora capisci che sì, l’Oltrepò può produrre tesori. (95/100)

Provincia di Pavia Pinot Nero Pernice 2011. Una passeggiata nel sottobosco quando scendono le prime brume. Il muschio, la terra smossa, l’aria fresca che fa arrossare il volto. Ruvidamente piacevole. (90/100)

Provincia di Pavia Pinot Nero Pernice 2010. Ha un’indole autunnale, il fogliame calpestato, i fiori appassiti, eppure ancora vividi nel colore. Cenni di china, di grafite e un’acidità a tratti agrumata. (88/100)