A proposito di Slow Wine 2023

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Qualche volta mi è stato chiesto di scrivere l’introduzione di un libro. Non so se ci sia chi legge le prefazioni. Magari sì. Per esempio, io sono tra coloro che le leggono, talvolta dopo aver letto il libro, per verificare se la mia chiave interpretativa è uguale a quella di chi ha introdotto la narrazione.

Ho trovato molto interessante l’introduzione che Giancarlo Gariglio ha anteposto all’edizione 2023 di Slow Wine, di cui è curatore. Giancarlo pone due temi di fondo. Il primo è se ci si possa abituare all’eccezionalità, perché questi ultimi anni sono stati del tutto anomali sotto il profilo sanitario, dal lato delle emergenze politiche e in termini climatici, con l’estate scorsa tra le più calde e siccitose che abbiamo mai vissuto. Il secondo è come sia riuscito e soprattutto come possa in futuro il mondo del vino far fronte allo stravolgimento del clima.

Alla prima domanda rispondo che l’empirismo dell’agricoltore e dunque del vignaiolo ha sempre trovato stimolo nell’eccezionalità, perché chi lavora la terra tenta giorno per giorno, come scrive anche Gariglio, di interpretare i bisogni delle piante, e ne trae lezioni che accumula nel proprio vissuto e nel sapere collettivo. L’agricoltore è un osservatore pragmatico e non conosce la routine. Dunque, sì, ci si può abituare all’eccezionalità, perché la quieta normalità del lavoro d’ufficio, in campagna non si sa che cosa sia.

La seconda domanda trova risposta proprio in quel che sottolinea molto bene Giancarlo Gariglio, ossia che occorre “dare definitivamente ascolto ai vignaioli veri e propri, a quelli che ragionano in piccolo e in modo ecosistemico”. Perché, se è vero che i coltivatori su larga scala, possedendo maggiori risorse economiche e organizzative, sono quasi sempre più rapidamente reattivi rispetto ai piccoli, le loro risposte al cambiamento sono spesso, per converso, delle “scorciatoie che rimangono ad alto impatto e che se viste sul lungo periodo sembrano già avere le gambe corte”. Questo, aggiungo, non per contrapporre gli uni – i grandi – agli altri – i piccoli -, dato che, come si usa dire, siamo tutti sulla stessa barca, e dunque è meglio remare tutti insieme, quanto piuttosto perché è fondamentale per tutti – anche per i grandi – la valorizzazione della capacità di ascolto delle esigenze della terra che sono più spiccate nel vignaiolo che lavora direttamente la propria, di terra.

Aggiunge Gariglio che “condizioni radicali impongono reazioni altrettanto radicali” e indica nella Slow Wine Fair in programma a Bologna in febbraio un momento di possibile confronto su questioni che vanno “dai nuovi insetti portatori di danni o malattie letali alla mancanza di acqua per periodi prolungati, dal sistema per mantenere o aumentare la fertilità dei suoli all’adattamento delle modalità di allevamento alle temperature che crescono, per arrivare alle forme di collaborazione comunitarie necessarie per rendere economicamente più sostenibili le aziende”.

Nel frattempo, mi accontento di sfogliare l’edizione 2023 di Slow Wine. Le cantine recensite sono 1957, i vini premiati 787. Tra i vini top spiccano i vini Slow, coerenti con la filosofia del movimento della chiocciolina, che sono 386, mentre ammontano a 156 i “vini quotidiani”, definizione che, come ho già detto in passato, non mi piace, perché pare sminuente, e invece alcune volte si tratta di vini straordinariamente rappresentativi dell’identità territoriale e incredibilmente gastronomici e conviviali. Ecco, forse una definizione alternativa a “quotidiano” potrebbe derivare dall’analisi di questi due concetti, la gastronomicità e la convivialità.

Interessante, poi, il fatto che il 56% delle cantine recensite utilizzi pratiche certificate biologiche o biodinamiche e che il 63% dei vini premiati provenga da questo genere di cantine. Mi riconosco in questa percentuale. Di solito, non verifico preventivamente da quale tipo di agricoltura derivino le uve dei vini che assaggio. Però se successivamente all’assaggio guardo quali vini mi siano piaciuti di più, mi accorgo che la maggioranza deriva da pratiche di sostenibilità ambientale. La differenza, molto spesso, si avverte, e non è una questione di autosuggestione o di ideologia. Un vigneto in equilibrio dà uve migliori, la verità è questa. Oggi il vero problema del vino è proprio questo, l’equilibrio. Benedette le scelte che consentono di ottenerlo, e con questo torniamo ai temi affrontati nell’introduzione della guida. Vedete dunque che è utile leggerle, le introduzioni?