Non sono il solo ad aver sollevato perplessità sull’annuncio della “certificazione” cui si assoggetteranno i vignaioli che aderiscono al nuovo “disciplinare di produzione del vino VinNatur”. Non mi riferisco alle obiezioni sui contenuti delle regole produttive stabilite dall’associazione “naturalista” che fa capo ad Angiolino Maule. Vivaddìo, ognuno sarà ben libero di darsi le regole che vuole, quando queste sono volontarie e rispettano la legge, o no? Il mio dubbio è concettuale, ossia se sia il caso di “burocratizzare” una scelta che, prima ancora che produttiva, credo debba essere culturale. Insomma, se fai vino “naturale” devi prima di tutto fare una scelta di vita, e a mio avviso è proprio quella scelta di vita il valore autentico di un vino “naturale”, giacché credo fermamente che sia la componente umanistica l’essenza prima del concetto di terroir.
Chi guida VinNatur è convinto che “i controlli sono un punto fondamentale perché, secondo noi, alle parole vanno preferiti i fatti: chi sceglie di bere vini naturali ha il diritto di avere garanzie tangibili su ciò che troverà dentro la bottiglia. Non basta dichiararsi ‘vignaioli naturali’, è necessario essere realmente consapevoli della grande responsabilità che si
ha nei confronti della salute di appassionati e clienti, e agire con trasparenza”.
Però mi viene segnalato che più e meglio di me il dubbio che ho sollevato sopra l’ha espresso un vignaiolo “naturale” che stimo, Corrado Dottori.
Sul suo blog Dottori dice così: “La vera e potente insurrezione dei vignaioli naturali (termine che ho sempre utilizzato preferendolo a ‘vino naturale’ destinato a divenire immediato feticcio) non riguarda tanto, o non solo, quello che c’è o non c’è nella bottiglia di vino da loro prodotto, ma la ridiscussione profonda della relazione fra agricoltura ed industria, fra città e campagna, fra cultura e natura, fra tecno-scienza e vita biologica. Ridurre il vino naturale a un disciplinare di produzione significa piegarsi al gioco del ‘nemico’, ridurre il proprio percorso ad una questione in definitiva ancora una volta tecnica (che cosa è infatti un disciplinare se non un ‘tecnicismo’?), riconducendo per l’ennesima volta la Natura all’Uomo, quando l’utopia del vino naturale stava invece nel ritorno dell’uomo nella natura (non da buon selvaggio, ma da animale sociale storicamente determinato! Cioè qui e ora, dopo quasi 50 anni di riflessione su ecologia, consumismo, sviluppo e decrescita). Insomma, con il massimo rispetto che si deve ad una associazione seria come VinNatur, qual è l’immaginario prodotto da questo ‘disciplinare’ se non un vino biologico con dei limiti più stretti? Ma allora non aveva senso una lotta per modificare il disciplinare bio? E soprattutto: non ci si accorge che così facendo il vino naturale viene ridotto all’ennesimo ‘bollino di garanzia’ frutto dell’ennesimo ‘piano dei controlli’, cioè a nicchia della nicchia in un mercato che andrà avanti esattamente come prima? L’insurrezione ridotta a controllo, in collaborazione col Ministero per giunta”.
Ecco, mi pare che il nucleo della questione sia bene espresso da Corrado Dottori. Il fattore culturale viene prima di tutto. Deve essere così, spero sia così.
Poi, non mi ci straccerò le vesti, per carità, ché ci sono al mondo ben altri problemi su cui macerarsi. E mi auguro anzi che la scelta di Angiolino Maule e dei suoi sostenitori contribuisca a rendere un po’ più sano questo nostro tribolato mondo.