C’è un venticello di crisi che spira sul rosé

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Ai primi di luglio dicevo di avere l’impressione che, dopo anni di espansione, la bolla modaiola del rosé si stesse sgonfiando. Che il vino rosa stia incontrando delle inattese difficoltà sui mercati mi viene confermato da una notizia proveniente dalla Francia. Il consiglio di amministrazione dell’Organisme de Défense et de Gestion de l’appellation Côtes de Provence ha deciso di abbassare la resa a ettaro del rosé per la vendemmia 2023. Da un ettaro di vigna si potranno ricavare 50 ettolitri di rosé, anziché i 55 ettolitri previsti fin qui. La parte eccedentaria potrà essere destinata a riserva vendemmiale, da utilizzare in caso di ripresa delle vendite. L’ho appreso da Vitisphere.

L’idea che i provenzali potessero pensare a una manovra di regolazione dell’offerta sarebbe stata considerata irreale sino a un anno fa, quando il vento del successo commerciale continuava a spingere la più famosa delle denominazioni rosatiste del mondo. Invece, le vendite flettono. Pare che il calo complessivo sia intorno al 5%, con una caduta del 16% nella grande distribuzione. Secondo il consorzio provenzale, la discesa nasce da una serie di concause: l’inflazione che ha bruciato il potere d’acquisto dei consumatori, il calo generalizzato dei consumi di vino, la riduzione dei flussi turistici verso la Provenza, le condizioni climatiche primaverili ed estive poco favorevoli al consumo dei rosé.

Io temo invece che siamo di fronte alla prime serie avvisaglie del venir meno dell’interesse nei confronti della tipologia, e soprattutto di uno stile di vino che ha esagerato nel proprio percorso di scarnificazione. Da un paio d’anni, anch’io, che sono sempre stato un convinto bevitore di rosé provenzale, non mi ci ritrovo più in quei colori troppi chiari, al limite dell’incolore, e in quel gusto troppo rarefatto. Ero, sono e resto per i vini in sottrazione, per la ricerca dell’essenziale, ma c’è un limite al di sotto del quale si scende nell’insussistenza. A togliere troppo, finisce che non resta quasi nulla, e alcune volte ammetto di essere rimasto deluso dalla vena di amaro assunta da certi rosé che un tenpo erano tra i miei favoriti.

Adesso sono curioso di vedere se la reazione della Provenza sarà indirizzata solo al contenimento dell’offerta, oppure se interesserà anche lo stile del vino. Non vedo l’ora che escano le prime bottiglie del 2023. Loro sono i geni indiscussi del settore, è essenziale osservare le scelte che faranno.

Per il resto, non mi resta che ripetere quanto già detto in luglio: io credo che quest’accenno di crisi sia salutare. Finalmente i parvenue del rosé, autori di vini senz’anima, abbandoneranno la presa. Resteranno – in Italia, in Francia, in Spagna – i rosatisti di tradizione, coi loro diversi colori, dal chiaro allo scuro, dal rosa pallido del Chiaretto a quello corallo del Salento o quello arrossato del Cerasuolo abruzzese, e finalmente si potranno creare le condizioni per il successo dei vini rosa storici italiani. A meno che, come spesso accade in Italia, la sfiducia travolga brutalmente tutto e tutti, senza far distinzioni tra il buono e il cattivo.