Basta capsule sulle bottiglie di vino (almeno alcune)

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Ne parlai due anni fa. Lo spunto me lo diede un intervento della wine writer statunitense Kathleen Willcox su Wine-Searcher. Time for Wine to Go Topless titolava il suo articolo. Significa che è tempo che il vino viaggi senza capsule a coprire il collo e il tappo della bottiglia. Dicevo allora – e continuo a pensarlo – che la capsula è solo una questione estetica, peraltro piuttosto discutibile, cui si può tranquillamente rinunciare, col vantaggio di far vedere con quale tappo sia chiuso il vino, ed è un’informazione molto interessante. Adesso è il wine writer britannico Rupert Millar a indicare su The Buyer the No 1 thing that must change in wine packaging, la prima cosa che va cambiata nel packaging del vino. La priorità sapete qual è? Eliminare le capsule dalle bottiglie. “L’enorme quantità di sprechi che potrebbe essere eliminata alla fonte dall’industria vinicola attraverso questa semplice mossa è straordinaria”, scrive. Ha ragione.

Ho fatto due calcoli in croce prendendo il primo comunicato stampa che mi è arrivato sotto mano nel quale si indicasse il numero di bottiglie prodotte annualmente. Era un comunicato del Consorzio di tutela dei vini della Valpolicella uscito lo scorso maggio. Diceva che “sono poco più di 67 milioni le bottiglie delle denominazioni (Valpolicella, Amarone, Recioto e Valpolicella Ripasso) prodotte l’anno scorso”. Poi ho preso una bottiglia di Valpolicella e ho misurato la capsula: grosso modo erano circa 55 millimetri di altezza, 93 di circonferenza, 29 di diametro. Ne risulta che ciascuna capsula ha una superficie complessiva di circa 58 centimetri quadrati. Se si moltiplica quella superficie per i 67 milioni di bottiglie annue della Valpolicella, si ottengono quasi 387 mila metri quadrati di superfie di plastica o di metallo infilati sopra le bottiglie. Ma 387 mila metri quadrati sono il corrispettivo di circa 54 campi da calcio regolamentari. Per coprire il collo delle proprie bottiglie, un solo territorio come la Valpolicella utilizza ogni anno plastica o metallo per una superficie equivalente a 54 campi da pallone. Ogni anno. Figuratevi se il calcolo venisse fatto su tutte le bottiglie prodotte in Italia, in Europa, nel mondo. Vi rendete conto che abbiamo un problema di sostenibilità?

Credo che sia bene che il mondo del vino si interroghi sul tema, e che lo faccia in fretta. Perché si ha un bel parlare di sostenibilità, ma poi non vedo moltissimi gesti concreti, se non le solite cose trite e ritrite, che costituiscono il minimo sindacale del vivere sociale. Togliere la capsula dalla bottiglia è un gesto concreto. Mica da tutte, magari solo da una parte. Ma è già qualcosa. Qualcuno ha provveduto. Per esempio la cantina romagnola Vigne dei Boschi, che tra collo e bocca della bottiglia ci appiccica solo una fascetta di carta, utile a segnalare l’integrità della chiusura.

Quando ne scrissi, due anni fa, mi si obiettarono motivi di igiene. Considerato il turnover rapidissimo di molta parte della produzione vinicola, non vedo dove sia il problema. Anzi, dal lato ambientale ci vedo solo vantaggi. Così pure dal lato dei costi e del riciclo del vetro.

Qualcuno – dicevo – la capsula l’ha già tolta, e non solo aziende piccoline come Vigne dei Boschi. Cito il caso di Waitrose, enorme catena britannica di supermercati. Lo scorso aprile ha annunciato l’intenzione di rimuovere completamente la capsula da quattro vini della propria linea Loved & Found, in modo da fare un test con la clientela. Dei quattro vini, uno è portoghese e tre sono – ma guarda un po’ – italiani (uno Zibibbo e un Nerello Mascalese dalla Sicilia e una Lacrima dalle Marche). L’operazione rientra nel piano di Waitrose di eliminare tutto il packaging che non sia strettamente necessario, non solo nel vino. Se lo fa Waitrose – e se lo fa sui vini italiani -, non via pare che sia meglio incominciare a crederci?