Accorrete, il Poiema 2016 è di nuovo sul mercato

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Il marzemino è un vitigno reietto, discriminato, spietatamente sempre più ripudiato e perfino espiantato da una trentinità viticola che si concentra su poche uve alloctone più gradite dal mercato di massa, ossia il pinot grigio e anche lo chardonnay, il quale è alla base della filiera della spumantistica locale. Salvo rare e prodigiose eccezioni, la più splendente delle quali è di gran lunga il Poiema di Eugenio Rosi.

Eugenio ha da poco rimesso in circolazione, dopo prolungato affinamento, alcune bottiglie del suo Poiema 2016, figlio del rigoverno del marzemino sulle uve appassite, o è meglio dire surmaturate in cassetta, e vi consiglio di andarle a cercare, queste bottiglie, e di bervele, perché sono la quintessenza di quanto il marzemino trentino possa dare vini cristallini e fascinosi. “L’ho fatto per far capire le potenzialità di questo vitigno. Invecchiando il marzemino tira fuori il meglio di sé” spiega il vignaiolo, riguardo a questa riedizione, che è sul mercato in contemporanea con il più giovane 2020, e costa la non certo iperbolica cifra di venticinque euro.

Le uve del Poiema vengono dai Ziresi, il gran cru del marzemino, nel comune di Volano. “Ai Ziresi – mi racconta Rosi – c’è l’argilla, mio nonno ci faceva i mattoni. Il marzemino è una varietà delicata, ha la buccia sottile, è povero di acidità, e su quelle terre non si può tenere troppo a lungo in pianta. L’appassimento lo faccio per riuscire a maturare meglio l’uva, perché il vero problema è avere a disposizione un marzemino maturo. Magari si riuscisse ad averlo in pianta! Ma è difficile, per il marzemino”. In più, il Poiema si affina in legno di castagno, “perché è un legno che traspira più del rovere ed è più neutro”.

Secco come hanno da essere i rossi seri, nitidissimo nel frutto, come nuovamente devono rappresentarsi i vini rossi di carattere, è lungamente presente al palato, rotondo e insieme avvolgente di spezie, intrise di sbuffi officinali.

(Qui apro una lunga parentesi, e metto il discorso tra parentesi perché non riguarda solo il Poiema, ma anche altri vini d’altre parti d’Italia. Purtroppo – e il mio dispiacere è grande – il Poiema non va sotto la denominazione d’origine locale, ossia quella del Marzemino d’Isera. Eugenio Rosi ha rinunciato alla denominazione dopo ripetuti rifiuti ricevuti da parte delle commissioni d’assaggio della doc, rifiuto fondato – lì come altrove – da un concetto di tipicità che comprendo, ma che ritengo malinteso. Mi chiedo come possano le denominazioni d’origine privarsi di vini come questo e come altri ancora in altre regioni d’Italia. Sono i vini apripista, quelli che disvelano nuove visioni di prospettiva territoriale e le mettono a disposizione di tutta la filiera. Le commissioni d’assaggio dovrebbero, se non proprio essere abolite – io ne sostengo da tempo l’abolizione -, almeno essere rivedute e formate perché siano nelle condizioni di considerare la tipicità come un valore dinamico, in progressiva evoluzione, e dunque non cristallizzato su uno stilemma potenzialmente erroneo, in quanto figlio di una viticoltura e di un’enologia che non esistono più o che hanno poco senso di esistere tuttora. La qual cosa richiede fondi adeguati e formatori idonei e di visione ampia, quali sono, ad esempio, numerosi master of wine che ci sono in giro per il mondo e che incominciamo ad avere anche in Italia. Qui la parentesi è chiusa, ma spero che il dibattito prosegua, magari anche nelle sedi che gli sarebbero più consone, ossia Federdoc e il Comitato nazionale vini.)

Vallagarina Rosso Poiema 2016 Eugenio Rosi
(95/100)