Ma la Sweet Valley vogliamo farla con l’Asti Secco?

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Sinceramente non capisco. Proprio non capisco. Il Consorzio del’Asti sta facendo il diavolo a quattro per far passare la nuova tipologia dell’Asti Secco, e poi su La Stampa leggo che il suo direttore (suo del Consorzio, intendo) lancia l’idea della Sweet Valley, della vallata dolce, perché – cito – “Alba, porta delle Langhe è la culla di una realtà dolciaria conosciuta al mondo grazie alla lungimiranza di Michele Ferrero, Asti a sua volta ha dato il nome alle bollicine naturalmente dolci più brindate al mondo. E poi è tutto territorio di produzione della nocciola Piemonte igp”.
Ora, detto che l’idea della Sweet Valley mi piace e che la condivido e che l’abbinamento tra le nocciole e l’Asti lo trovo da sempre strepitoso, mi domando questo: ma porco cane (ed è il massimo che posso scrivere in termini di invettiva politicamente non troppo scorretta), se l’idea vincente è quella della vallata della dolcezza, perché mai il Consorzio dell’Asti si è messo in testa l’idea di puntare il futuro della denominazione sull’Asti Secco?
Non sembrano un pelino contraddittorie le due ipotesi? Che se poi il consumatore – insomma, la casalinga di Voghera o di Detroit o di Hannover – non ci capisce più niente, e non sa più se l’Asti è dolce o secco, magari dà una scrollata di spalle e compra altro. Anzi, magari lo fa già e a maggiore ragione lo farà anche la sua vicina di pianerottolo, no?
Ah, i credits: la notizia l’ho presa dalla pagina Facebook del vignaiolo Gianluca Morino. Scrive lui: “Chiedo un aiuto perché, pur essendo del settore e del territorio, non capisco la strategia o dove si voglia arrivare. Da una parte Sweet valley e dall’altra Asti secco”. Ecco, la risposta ho provato a darglielo: non capisco un cavolo (altro termine politicamente corretto) neppure io.