Il vino si salva se compensa i danni

vigneto_cavaion_valpo_500

C’è un vento neoproibizionista che soffia sull’Europa. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, di qui al 2025 – e cioè entro domani mattina – i cittadini europei devono ridurre del dieci per cento il consumo di alcolici. Se l’indicazione diventasse legge, si tratterebbe di una mazzata per chi fa vino. Unione Italiana Vini ha dichiarato che l’attuazione di un piano di abbattimento del consumo di alcolici, di fatto, metterebbe in crisi il comparto; io credo che invece, e soprattutto, metta in crisi il comparto così come l’abbiamo pensato sino ad ora e che dunque sia il momento di ripensarlo.

Del resto, le strategie impostate negli anni in difesa del vino mi sembrano poco efficaci. Infatti, è inutile parlare di consumo moderato, di dieta mediterranea o di cultura del vino, quando i puritani oppongono che l’alcol fa male fin dal primo bicchiere. Il confronto, messo giù così, non mi appassiona, e oltretutto è perdente, perché gli strumenti indicati per arrivare all’obiettivo del taglio dei consumi sono potenzialmente letali: l’aumento della tassazione sugli alcolici, l’obbligo dell’apposizione di frasi dissuasive in etichetta e soprattutto il divieto di pubblicità e di promozione, con il conseguente venir meno degli attuali ingenti finanziamenti comunitari al settore. Oltretutto, la mia impressione è che la tendenza a rendere più problematico l’uso di quei finanziamenti sia già in corso. Ne sa qualcosa chi è alle prese con le rendicontazioni dei bandi europei, con la burocrazia che si è fatta molto più rigida.

Ritengo dunque che sia il momento di essere pragmatici, e che il pragmatismo debba portare a considerare un’unica strategia di difesa, quella della compensazione. Di fronte alle accuse relative ai danni sociali prodotti dall’alcol, occorre che chi produce alcolici adotti azioni che compensino i danni potenzialmente generati.

I danni sociali che possono derivare dal consumo di alcolici sono vari: cancro, patologie del fegato e del cervello, dipendenza, atteggiamenti violenti, incidenti sul lavoro, in casa e sulle strade. Sono tutte casistiche che incidono sulla spesa sanitaria e sui costi della sicurezza. Allora dico: quantifichiamo a quanto ammonti questo costo collettivo e proponiamo azioni virtuose che vadano a produrre un beneficio sociale quantitativamente almeno pari, se non superiore.

Come si fa a generare un beneficio sociale quando si producono alcolici? Nel caso del vino, le modalità possono essere molte. Ne elenco alcune. Incrementare la tutela dell’ambiente naturale attraverso la drastica riduzione dei trattamenti fitosanitari invasivi e la rapida transizione alla lotta integrata certificata e alla pratica biologica certificata. Ridurre i consumi di acqua, di energia e di suolo e diminuire radicalmente l’impronta carbonica generata dal settore. Favorire la conservazione e lo sviluppo della biodiversità vegetale e animale, anche tramite l’adozione di estesi piani di agroforestazione, utili anche a contrastare il riscaldamento globale. Incentivare l’integrazione delle attività delle aziende vitivinicole con produzioni alternative al vino, come ad esempio ortaggi, legumi, frutti, miele, seminativi, latticini, uova ed altro ancora. Ampliare le forme di utilizzo degli scarti di lavorazione. Garantire adeguate politiche occupazionali, salariali e di sicurezza del lavoro. Sviluppare forme di turismo sostenibile e di prossimità. Collaborare alla conservazione del patrimonio storico, artistico e paesaggistico dei territori di pertinenza.

Tutte queste azioni, e altre ancora, producono benefici misurabili, che compensano il costo sociale potenzialmente derivante dall’alcol contenuto nel vino. Sono pressoché certo che si riscontrerebbe addirittura un surplus sociale. Proprio questa produzione di valore sociale dovrebbe essere alla base della rimodulazione delle interrelazioni fra il settore vinicolo e il legislatore europeo. Il riorientamento delle relazioni potrebbe rimodulare anche i flussi finanziari di sostegno all’attività vitivinicola, orientandoli allo sviluppo e alla promozione delle pratiche virtuose.

Si tratta di una rivoluzione. Ecco perché dico che è ora di riformulare il modo di pensare al settore del vino.