Il vino, i giovani e il linguaggio orizzontale

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Sui social media e nei convegni è tutto un gran discorrere su come parlare di vino ai giovani. Il corollario è l’accusa di superficialità che viene loro rivolta. Come se fosse colpa loro l’incapacità che ha il mondo del vino di rendersi attraente. Mi sembra il caso di quei politici che, dopo aver perso le elezioni, cercano di giustificare la loro sconfitta dando agli elettori la colpa di non averli capiti.

I giovani non sono superficiali. Semplicemente, hanno una modalità di approfondimento che è radicalmente diversa rispetto a quella che era tipica delle generazioni precedenti. Per esempio, rispetto alla mia generazione.

La mia generazione aveva un modo di approfondire le cose che voglio definire verticale. Ci si specializzava su di un singolo argomento di dettaglio e si andava in profondità nella sua conoscenza, con una pignoleria quasi malata. Banalmente, di un qualunque album di musica rock conoscevamo titoli dei brani, durata, testi, autori, interpreti, musicisti strumento per strumento, tipologie di strumentazioni utilizzate, numero di sessioni di registrazione, date della sessioni, produttore, responsabile del mixer, eccetera, eccetera, eccetera. Oggi i giovani hanno un modo di approfondire le cose che definisco orizzontale. Non vanno nel dettaglio di nulla, ma entrano in contatto con molte più informazioni di noi. Sono figli del web, che non ti dà una conoscenza specialistica su nulla, ma ti trasmette una pluralità di assaggi di conoscenza. Così una volta pensavamo di sapere tutto perché conoscevamo tutto di una singola cosa, mentre adesso si conosce poco di tantissime cose e ci si fa un’idea del mondo con un’apertura mentale che un tempo non c’era. Li invidio, i giovani, che hanno una cultura così ibrida e trasversale.

Ora, se il vino volesse davvero mostrarsi attrattivo per i giovani, dovrebbe parlare un linguaggio orizzontale, fatto di una sequenza di richiami molto ampia e articolata. Invece, il vino continua a parlare in modo verticale, pretendendo che si apprezzi la pignoleria dei dettagli enologici, che interessano solo gli addetti ai lavori. Non funziona.

Bisognerebbe parlare di vino parlando di musica, di moda, di quotidianità, di mille argomenti diversi, in qualche modo collegabili, anche indirettamente, allo stile di vita del vino: tutta roba da generalisti curiosi. Bisognerebbe, soprattutto, essere capaci di parlare a questo modo, il che presupporrebbe rinunciare all’autoreferenzialità che inquina il settore. Siccome di essere autoreferenziali non si vuol proprio smettere, ci si ostina a parlare di vitigni, portinnesti, rese per ettaro, rese in vino, fermentazioni, macerazioni, affinamenti, tutta roba da specialisti pignoli, e si vorrebbe che questi discorsi piacessero a tutti.

Macché, in questo modo non si va da nessuna parte. Prova ne sia che i giovani non sono interessati, e i meno giovani incominciano a stufarsi.