I vini possibili e identitari, che inseguo da sempre

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Non mi pare che abbia raccolto tutta l’attenzione che avrebbe meritato l’editoriale che Daniele Cernilli ha pubblicato sul suo DoctorWine il 10 di gennaio, col titolo “I vini possibili per l’anno che verrà“. Invece, per certi versi, si tratta dell’indicazione di un punto di svolta importante nell’approccio al vino per le nuove generazioni di bevitori attenti. Perché da un decennio, con un’accelerazione feroce nell’ultima manciata d’anni, i punti di riferimento sono andati mutando, non già perché non siano più eccellenti le icone vinicole che hanno fatto da stella polare alle generazioni precedenti, quanto perché sono diventate, dal punto di vista economico, del tutto inaccessibili. E dunque è necessario andare alla ricerca di nuove eccellenze, e per far questo servono nuovi paradigmi.

La sintesi sta tutta nell’occhiello del pezzo di Cernilli: “Il mercato del lusso ha fatto lievitare i prezzi di tutti i vini iconici. Prezzi troppo alti possono allontanare le nuove generazioni dal consumo del vino e questo sarebbe un grosso problema per il futuro di questo settore. Fortunatamente in Italia possiamo ancora bere molto bene a prezzi accessibili”. Già, sono daccordo che se vuole, l’Italia ha tutto per diventare il nuovo faro di chi si approccia al vino, qui da noi come altrove. L’importante, dico io, è che, lato produzione, si lavori sempre di più sul tema dell’identità. Perché per me è questo, l’identità, ovvero il senso di appartenenza, il nuovo paradigma, e a dire il vero lo è sempre stato per quei vini che hanno formato per secoli e decenni il mito francese, espresso in sintesi verbale attraverso il concetto di terroir, espressione assoluta dell’appartenenza.

Se vogliamo, insisto, qui da noi possiamo costruire il futuro, e lo possiamo fare proponendo vini dai prezzi non inaccessibili, perché ne abbiamo molte, moltissime di produzioni eccellenti che non si collocano più in là di quella fascia dei dieci, quindici, venti euro che appartiene alla nuova normalità dei tempi difficili. Condivido pertanto l’auspicio di Daniele Cernilli: “Ecco, penso che l’anno che verrà, e forse anche quelli successivi, quando mi auguro come tutti che finirà questo periodo terribile, saranno nel mondo del vino gli anni dei vini possibili, di quelli che consentiranno anche a molti giovani di avvicinarsi a questo settore con serenità”.

L’identità possibile, avvicinabile, a portata di tasca, dovrebbe essere questa la mèta di chi fa vino e di chi beve vino. Lo dico da tempo, da quando lanciai la mia idea del vinino. Era il 2009. Sì, il 2009, che pare un secolo fa. Mi permetto di ricordarne, qui di seguito, tre dei punti fondanti.

Rifiutiamo l’omologante gusto internazionale nel quale è smarrita ogni specificità, sostenendo l’unicità del vino che interpreta il sapere gastronomico d’un territorio.

Rifuggiamo dall’ossessiva ricerca della perfezione enologica, preferendo il vino nel quale si sostanzi l’irripetibile comunione dell’ambiente naturale e dell’ambiente umano.

Promuoviamo l’onesto piacere del vino come risposta all’incultura dell’eccesso ed alle opprimenti teorizzazioni del dilagante neoproibizionismo.

Lo so, sono autoreferenziale, e l’autoreferenzialità può tramutarsi in vanagloria, ma è su questi elementi che ho costruito la mia idea di eccellenza. Che Cernilli parli dei vini possibili mi fa enorme piacere.


2 comments

  1. Daniele Cernilli

    Grazie Angelo

  2. Angelo Peretti

    Angelo Peretti

    Grazie a te, maestro.

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